L’impiccato resuscitato a Torino
Da Alessandro Maldera
Maggio 16, 2013
Antonio Sismondi è stato impiccato alle sei e mezza di mattina di sabato 12 marzo 1853 a Torino dagli esecutori di giustizia Pietro e Luigi Pantoni.
Il processo ad Antonio Sismondi, detto Verlino, contadino di venticinque anni nato a Marsaglia e residente a Vico di Mondovì (oggi Vicoforte), accusato di rapina con omicidio proditorio commessa il 1° febbraio 1852, è passato inosservato nei confronti all’opinione pubblica.
La sua esecuzione capitale, invece, si caratterizza per un avvenimento clamoroso.
Ci è tramandata la descrizione delle ultime ore del condannato Sismondi, scritta dal canonico Francesco Picca, uno di coloro che lo assistono nel confortatorio, una misera cella adiacente alla cappella delle carceri senatorie
Qui il condannato trascorre la sua ultima notte, dall’11 al 12 marzo, affidato alle cure spirituale di don Giuseppe Cafasso e dei confratelli della Misericordia.
Francesco Picca, allora chierico della Parrocchia di San Agostino, è stato invitato a servire la Messa che don Cafasso celebra per Sismondi, che vi assiste in silenzio, piangendo e pregando.
Al momento della Comunione, Sismondi piange ancora di più
Don Cafasso lo anima ma lui, forse credendosi indegno, scuote il capo e si mette a tremare.
Don Cafasso fa cenno di allontanarsi al chierico Picca, che li lascia soli.
Di lì a pochi istanti Don Cafasso rientra in cappella e termina la Messa
Quindi torna vicino al condannato per aiutarlo a fare il ringraziamento, in attesa dell’arrivo del boia, che non tarda a presentarsi
Alle sei e mezza di mattina esegue la sentenza.
Nella mattinata, presso il Cimitero di San Pietro in Vincoli, mentre si cala nella fossa la salma di Sismondi, si sente un cupo rantolo che pare venire dall’interno della cassa.
Viene subito aperta, racconta il canonico Picca, ed ecco che il “morto” respira ancora ed ha la schiuma alla bocca.
Tutti gli astanti restano spaventati.
Si corre dal teologo Carpano, cappellano del Cimitero di San Pietro in Vincoli, il quale subito lo fa trasportare al primo piano e adagiare nel suo letto.
Sismondi viene slegato, stende le braccia, tira un lungo respiro.
Si manda subito a cercare un vice curato alla parrocchia dei santi Simone e Giuda, che arriva con l’olio santo.
Arrivano anche i medici dell’Ospedale Mauriziano, situato dove oggi si trova la Galleria Umberto I, i quali, per salvare il risorto Sismondi, applicano il rimedio sovrano del tempo, il salasso.
Salassano quindi il povero Sismondi, come scrive Picca, “nella vena aorta (sic!) e sulla lingua, ma inutilmente”.
Il chierico Picca fa bere a Sismondi una tazza di caffè, questi la ingerisce poi apre gli occhi, ma non parla.
Alle dieci Sismondi muore.
Alla fine, anche con il contributo della medicina, la giustizia ha compiuto il suo corso!
Milo Julini
Alessandro Maldera
Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende
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