Orti di guerra: quando Torino coltivò il meglio di sé

La guerra arrivò a Torino con il volto dei bombardamenti nella notte tra il 12 e 13 giugno del 1940.
Lo choc provocato dagli aerei inglesi fu uno dei punti che segnarono una delle svolte più grandi nel comportamento e nella vita degli abitanti. In momenti come quello, segnati dal terrore e da una situazione instabile, gli abitanti della città che non erano sfollati diedro vita a uno dei gesti di responsabilità e bontà d’animo più dimenticati dai resoconti del conflitto.
In quei giorni, nacquero difatti a Torino i primi orti di guerra, che sopravvissero fino alla fine dell’impegno bellico e alla successiva ricostruzione.

Questi orti non erano altro che un’idea semplice e allo stesso tempo geniale: sfruttare i maggiori parchi e giardini per la coltivazione di verdure e tuberi. La carestia e le difficoltà nei trasporti di cibo vennero combattuti da un’organizzazione profonda e socialmente sentita, che sotto volere ed aiuto del regime, fece resistere i torinesi nel periodo bellico.
La produzione agricola spostò quindi il suo baricentro: il parco del Valentino fu adibito alla coltivazione di patate, la piazza d’Armi a quella dei cavoli e le zone adiacenti gli stabilimenti industriali come Mirafiori, videro la comparsa dei cereali.
Come incoraggiamento e per celebrare la partecipazione attiva dei torinesi al sostegno della città, il governo organizzò addirittura una cerimonia di trebbiatura del grano degli orti di guerra, che si tenne a luglio del ’42 in piazza Castello, in presenza delle maggiori autorità dell’epoca.
Quello che più deve far pensare non è solo la grande responsabilità, ma la generosità che i cittadini dimostrarono in quegli anni: ogni raccolto veniva tassativamente diviso in parti uguali e le coltivazioni venivano seguite da gruppi spontanei o associazioni, come nel caso del Dopolavoro Fiat ASF.
Fu così che i torinesi rimanesti in città combatterono la loro guerra, armati di senso comune e forza d’animo.
Michele Albera