Vino Ramiè: coltura eroica del pinerolese

A circa una cinquantina di chilometri da Torino, attraversando la Val Chisone, è possibile ammirare un paesaggio di viti arrampicate su scoscesi pendii che danno origine ad una particolarità enologica: il Ramìe.
Il Ramìe è un vino simbolo della coltura eroica di montagna in quanto i filari dei vigneti sono posti su alture fra i 750 e gli 800 metri nei comuni di Pomaretto e Perosa Argentina.
Il nome “ramìe” significa nel dialetto locale cataste di legno e molto probabilmente il nome deriva dalle fascine di rami che venivano messe da parte quando i valligiani disboscarono la zona per piantarvi la vite.
Il vino Ramìe di oggi è assai diverso da quello che veniva prodotto un tempo.
Di fatto è singolare la descrizione che ne dà Goffredo Casalis, abate e storico italiano, nel “Diozinario geografico, storico, statistico, commercial degli Stati di S.M. il Re di Sardegna” del 1847, descrivendolo come “bevuto eziando con qualche intemperanza, lascia libera la testa, ma vacillano le gambe a chi ne fa uso alquanto smodato”.
Inoltre secondo alcune fonti, veniva definito ironicamente come un vino in grado di dare persino dei tremori data l’asprezza del bouquet.
Lungi da queste descrizioni, oggi il Ramìe è un vino, che nonostante sia ancora poco conosciuto e venga prodotto in piccole quantità, ha trovato il consenso dei consumatori.
A partire dall’anno 1996 è anch’esso è entrato a far parte della “Pinerolese D.o.c.” e il disciplinare prevede che venga prodotto principalmente con i vitigni Avanà, Neretto e Averengo.
Il risultato è un vino armonico e dal sapore fresco e asciutto, con sentori di frutti di bosco e di colore rosso intenso. Data la sua semplicità, può essere abbinato a salumi e formaggi locali, frittate e torte salate.
Il Ramìe poco per volta sta uscendo dall’anonimato grazie all’impegno dei produttori producono un vino simbolo del proprio territorio e di antica tradizione, nonostante le grandi fatiche dettate dall’ambiente montano.
Clara Lanza