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Il Ferrante Aporti: storia del riformatorio di Torino

Da Alessandro Maldera

Luglio 02, 2012

Il Ferrante Aporti: storia del riformatorio torinese

Il Ferrante Aporti è il principale riformatorio di Torino, ecco la sua storia

Se non la smetti ti mando al riformatorio: quante volte questo ingenuo mantra della pedagogia familiare è stato ripetuto?

Una minaccia che gioca sul binomio delitto e castigo dai toni volutamente punitivi.

Già, punitivi e non correttivi, ma a Torino il carcere minorile ha ben altre caratteristiche, perché qui, il riformatorio, si chiama Ferrante Aporti.

L’antesignano dell’odierna istituzione nacque nella seconda metà del ‘700.

Nella sua sede, all’epoca in via Nizza, raccoglieva giovani delinquenti o senzatetto con obiettivi però ancora repressivi e non educativi.

Si unì quindi alla Generala dopo il 1818.

Un’istituzione piuttosto simile che si dedicava esclusivamente alle ragazze e, come diceva espressamente nelle sue intenzioni, alla «correzione delle donne di mala vita».

Un’epocale e lungimirante svolta si ebbe poi nel 1845

I giovani detenuti vennero seguiti dalla “Società Marsigliese di San Pietro in Vincoli” ed in seguito dal governo stesso, tramite la “Società Reale di patrocinio dei giovani liberati dal carcere”.

Il Ferrante Aporti: storia del riformatorio di Torino

La svolta, come dicevamo fu un fulmine a ciel sereno a livello nazionale e non solo.

Per la prima volta si cercò di pensare al carcere come un nuovo punto di partenza nella vita dei detenuti.

L’obbiettivo era quello di lottare contro la delinquenza offrendo ai ragazzi la possibilità di apprendere una professione e di studiare all’interno della struttura.

Vista l’alta criminalità nei centri cittadini si puntava sull’insegnamento dei lavori della campagna

Luogo che all’epoca offriva una ben più alta possibilità di impiego rispetto alla città.

Il tentativo fu da subito un successo.

Il tasso di recidività calò di colpo e Torino si trovò all’avanguardia europea degli istituti detentivi.

Un grande impulso giunse anche da re Carlo Alberto.

Quest’ultimo che volle un nuovo piano di edilizia penitenziaria nazionale, che operasse anch’esso verso il ravvedimento dei carcerati.

Nel 1885 l’età imputabile passò dai 9 ai 14 anni, cambiando ancora le carte in tavola.

L’istituto torinese abbandonò definitivamente la dicitura di “riformatorio per corrigendi” e venne intitolato ad un pioniere della pedagogia.

Sorse quindi il primo vero Ferrante Aporti, ricordando il sacerdote morto a Torino nel 1858, la cui missione di redenzione dei giovani aveva onorato la città.

Ancora oggi lo spirito di questa istituzione è rimasto intatto.

Chi conosce il Ferrante Aporti sa quanto chi ci lavori si applichi nel donare una seconda possibilità ai più giovani, uno sforzo encomiabile che rende Torino un posto ancora migliore.

Michele Albera

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende