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Armistizio 8 settembre 1943: l’Italia è divisa

Da Simone Nale

Luglio 10, 2021

Prima Pagina del giornale La Stampa dell'8 Aprile 1943 annuncia l'armistizio

Con l’illusione della pace, l’armistizio dell’8 settembre 1943 mandò il paese completamente allo sbando. Torino e l’Italia si preparavano ad affrontare altri due anni di guerra

Nella calda estate del 1943 la nascita dei primi movimenti partigiani di liberazione e l’avanzamento delle forze alleate contribuirono alla caduta del regime fascista. E alla firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943.

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L’inadeguatezza dell’esercito italiano – mostrata in Nord Africa e in Grecia – mostrarono l’inefficienza di una nazione e regime che faticava a stare in piedi.

Con la guerra a favore degli Alleati crebbe la necessità di Roosevelt, Churchill e Stalin di definire in anticipo il futuro del mondo liberato.

Alla prima conferenza interalleata, che si svolse a Casablanca nel gennaio del 1943, prevalsero le discussioni sulla strategia da adottare per sconfiggere definitivamente le forze dell’Asse.

La politica ferro di Roosevelt e Churchill nei confronti della Germania e dei suoi alleati portò all’esclusione di qualsiasi patteggiamento con le forze dell’asse.

Per una resa incondizionata che si sarebbe dovuta ottenere solo sul campo di battaglia e che nella primavera del ’43 aveva come unica risoluzione lo sbarco in Sicilia e i bombardamenti strategici sulle città italiane.

In Italia, invece, la preoccupazione che la guerra fosse ormai perduta e che stesse apportando gravissimi danni al paese, era ormai largamente condivisa.

Una situazione che Mussolini aveva annusato già da tempo e per la quale andò a sostituire diverse alte cariche dello Stato. Oltre a tutti i personaggi che reputava ostili alla continuazione della guerra a fianco della Germania.

Conferenza Casablanca 1943

L’invasione della Sicilia fu un successo

Nella notte tra il 9 e il 10 luglio le truppe anglo-americane sbarcarono a Gela sbaragliando per intero la linea difensiva italiana, per poi occupare l’intera isola della Trinacria in poco più di un mese.

Nel frattempo invece, re Vittorio Emanuele III, accortosi della crisi di consenso del regime e delle operazioni ostili al Quirinale, cominciò a progettare un piano che consentisse la destituzione di Mussolini.

Un’operazione che era già stata tentata da Maria Jose di Savoia un anno prima, ma senza successo.

La consorte del principe erede Umberto II era riuscita ad avviare diversi contatti con il Vaticano. Riuscì a fare da tramite e aprire un canale di comunicazione con gli Alleati.

Una ragnatela di operazioni che il Re utilizzò a suo modo nel 1943, quando, grazie all’appoggio di diversi gerarchi fascisti, riuscì a far deporre il Duce alla seduta del Gran Consiglio del Fascismo il 25 luglio, ponendolo poi agli arresti.

Quello stesso giorno, Vittorio Emanuele III nominò capo di governo Pietro Badoglio, ex capo di stato maggiore .

La nomina del Maresciallo d’Italia tuttavia, non significò una tregua, sebbene fosse un tassello della manovra sabauda per giungere alla pace.

Prima bisognava entrare in contatto con gli americani e stipulare le condizioni della resa, che inevitabilmente non avrebbero visto favori.

Dalla prigionia sul Gran Sasso, Mussolini verrà poi liberato dai paracadutisti tedeschi di Otto Skorzeny. Ma ormai l’Italia stava cambiando e con la firma dell’armistizio la pace divenne ancora più lontana.

Il 3 settembre 1943 venne siglato formalmente l’armistizio di Cassibile

Il comunicato dell’armistizio alla nazione avvenne solo 5 giorni dopo, l’8 settembre 1943 alle 19:45.

Badoglio, infatti, lesse ai microfoni dell’EIAR il proclama di resa incondizionata che però includeva un frammento decisamente ambiguo.

Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza…

Pietro Badoglio, 8 settembre 1943

Bastarono poche frasi per mandare allo sbando un’intera nazione.

A nessuno furono chiare le direttive dell’armistizio dell’8 settembre, chi erano amici o nemici e a chi si dovesse sparare.

I primi a pagarne le spese furono quindi i soldati,. Questi ultimi si erano trovati tra gli americani da una parte e i tedeschi dall’altra, con l’ordine di reagire solo se attaccati.

Il panico fu inevitabile: il corpo d’armata a difesa della capitale si dissolse nel giro di pochi giorni. Mentre con le prime notizie dell’avanzata tedesca verso Roma, il Re e la Regina Elena di Montenegro fuggirono dal Quirinale per andare incontro ai britannici a Brindisi.

Gli alleati, adesso, avevano messo gli stivali sulla penisola, dividendosi in due fronti ai lati dell’Appennino.

Giovani leggono il giornale che annuncia L'armistizio dell'8 settembre 1943

Ma la reazione tedesca non si fece attendere

Il comando supremo della Wehrmacht diede via libera all’Operazione Achse. Era già pronta ormai da tempo e prevedeva la totale occupazione della penisola italiana in caso di resa.

La notte stessa dell’8 settembre 1943, l’esercito tedesco prese possesso di aeroporti, stazioni, ferrovie e caserme in tutta Italia. Colse di sorpresa i soldati italiani che adesso si trovarono così di fronte a tre scelte

Accettare di continuare a combattere con i tedeschi, rimanere neutrali per poi diventare prigionieri di guerra o unirsi alle forze partigiane.

Il conflitto di conseguenza si trascinò ancora per un anno fino alla primavera del 1945, con l’aggravante di trasformarsi in una sorta di guerra civile.

A distanza di un mese dalla firma dell’armistizio, Mussolini proclamò la Repubblica di Salò, mentre i partigiani diedero il via alla guerra di liberazione.

Nel frattempo prese vita il CLN, o Comitato di Liberazione Nazionale opposto allo Stato Italiani, che ormai era praticamente dissolto e con esso anche la credibilità delle sue istituzioni.

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Simone Nale

Laureato in Scienze Umanistiche della Comunicazione all'Università di Torino. Appassionato di storia della televisione e nuovi media