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1994 San Salvario: riti “voodoo” in via Argentero?

Da Alessandro Maldera

Gennaio 14, 2016

Torino 1994 San Salvario: riti “voodoo” in via Argentero?

A Torino, nel borgo San Salvario, in via Argentero n. 4, si trova una casa in stile Liberty progettata nel 1907 dall’architetto Pietro Fenoglio, con un elaborato portone in ferro battuto che raffigura due alberi di melograno con frutti, in una cornice a coda di pavone.

Questa casa, per qualche tempo, nell’immaginario dei Torinesi, ha rappresentato addirittura un inquietante tempio “voodoo”.

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Tutto inizia il 1° maggio 1994 quando sui giornali torinesi appare la poco rassicurante notizia che una ragazzina di 11 – 12 anni (sull’età i giornali non concordano!) è stata irretita da «due fattucchiere nigeriane» che abitano al secondo piano della casa.

Questi i titoli: «Torino, schiava a dodici anni tra droga, sesso e danze ‘voodoo’» (“Repubblica”) e «Le donne nigeriane in cella a Torino: hanno ipnotizzato e drogato la piccola / Bambina rapita per riti voodoo / Prigioniera di due streghe, tra uomini nudi» (“La Stampa”).

A titoli così suggestivi corrispondono testi che in parte li sminuiscono anche se presentano sapientemente come accaduto quello che avrebbe potuto accadere.

La ragazzina, che i giornalisti indicano con nomi di fantasia ma che non esita a farsi intervistare a quanto pare con un certo compiacimento, racconta che nei primi giorni di dicembre 1993 ha conosciuto due nigeriane che si sono presentate come Cinzia e Diana e hanno detto di lavorare come baby-sitter.

Da allora, per cinque mesi, all’insaputa dei genitori, la ragazzina si è recata nel loro appartamento, quasi ogni giorno, nel pomeriggio.

La prima volta è andata con una amica che, spaventata, non è più tornata.

Torino 1994 San Salvario: riti “voodoo” in via Argentero?

L’alloggio era illuminato da candele, si odorava uno strano fumo acre, vi erano oggetti che ricordavano i riti “voodoo”. Un giorno le due donne seminude hanno ballato la macumba, tra due file di candele bianche e nere, e altre due volte l’hanno fatta ballare anche a lei, lasciandola frastornata.

Le due nigeriane le hanno proposto di provare la cocaina: volevano iniettargliela, lei è riuscita a resistere e ad allontanarsi. È però tornata, come attratta irresistibilmente. Così, dopo alcuni giorni, Cinzia voleva che facesse l’amore con quattro uomini bianchi che, nudi, stazionavano in camera da letto.

Lei si è rifiutata ed è fuggita, per tornare dopo qualche giorno.

Questa volta in camera c’erano quattro neri, sempre nudi, e lei è scappata di nuovo

È fuggita anche quando Cinzia voleva attirarla nel suo letto.

La ragazzina insiste molto sulla sua sottomissione psicologica alle due donne, sostiene che “Avevo paura, ma ogni volta sentivo il desiderio irrefrenabile di tornare in quella casa, come se fossi spinta da una forza misteriosa…”.

Questo inquietante e misterioso legame, che pare nascere da forze occulte e da magici sortilegi, spiega i fantasiosi titoli dei giornali che parlano di “ipnosi”, di “rapimento”, di “droghe”. Tutte cose ipotetiche: la ragazzina si è sempre sottratta, con un netto rifiuto e con la fuga, alla somministrazione delle presunte droghe e alle proposte indecenti.

La ragazzina, col suo strano comportamento nervoso ed assente, a scuola ha già destato l’attenzione dei professori e, a casa, della madre. Il 24 aprile racconta tutto al padre che avverte la polizia.

Due giorni dopo, gli agenti del commissariato San Paolo fermano le due nigeriane, H. O., “Cinzia”, di 24 anni e J. O., “Diana”, di 21 anni.

Le due si difendono nel peggiore dei modi perché, nel confronto e negli interrogatori, negano tutto ostinatamente, persino di conoscersi e di conoscere la ragazzina, e le loro insostenibili negazioni fanno apparire risolutiva ogni modesta conferma del racconto della loro “vittima”.

È quello che succede quando nelle perquisizioni dell’alloggio si trovano candele multicolori, bambole con testa mozzata e, soprattutto, alcune foto scattate a Natale con la ragazzina e l’amichetta, i loro numeri telefonici nell’agenda di Cinzia e altri riscontri, su cui l’accusa insisterà fino all’ultimo.

Il 26 maggio, però, gli esami di laboratorio accertano che le polveri sequestrate nell’alloggio non sono stupefacenti, ma fecola di patate.

Il Pubblico Ministero Elena Daloiso e, successivamente, il gip Ombretta Salvetti ritengono di avere elementi sufficienti per il rinvio a giudizio, con le accuse di corruzione di minore, induzione all’uso di stupefacenti e tentata induzione alla prostituzione.

Il 1° giugno 1994 i giornali annunciano che, a fine maggio, le due nigeriane sono state scarcerate, in giorni diversi, anche se continua il procedimento giudiziario nei loro confronti.

Va detto che sui giornali alcuni aspetti della vicenda sono restati in ombra: non si dice mai chi siano esattamente le due nigeriane, se e come lavorino, si accenna ad un misterioso fidanzato di Cinzia. Poco probabile che gli inquirenti non abbiano approfondito questi aspetti, si direbbe piuttosto che i giornalisti li abbiano volutamente tralasciati

Il processo inizia il 23 dicembre 1995, sempre con la contrapposizione delle due opposte versioni. Le due nigeriane persistono nelle loro illogiche negazioni, anche se non sono presenti in aula. Cinzia si fa rappresentare dai suoi legali.

Diana – che ha sempre sostenuto di essere stata scambiata con un’altra donna perché lei è arrivata in Italia non a Natale 1994 ma a metà febbraio – quando è uscita dal carcere ha fatto perdere le sue tracce, anche al suo avvocato.

Torino 1994 San Salvario: riti “voodoo” in via Argentero?

Nel gennaio 1996 il processo viene interrotto in modo che il dottor Enzo Bosco, perito psichiatra, possa valutare l’attendibilità della ragazzina.

Il perito la giudica attendibile e il processo riprende il 10 febbraio dell’anno successivo, il 1997, sempre a porte chiuse.

Il Pubblico Ministero, basandosi sui riscontri che smentiscono le negazioni delle imputate, chiede la pena di quattro anni e mezzo.

I difensori affermano che nell’alloggio non è stato commesso alcun reato e i giudici del tribunale, presieduto da Sandra Casacci, accolgono la loro tesi: non credono alla bambina e, il 10 febbraio 1997, assolvono le due nigeriane perché il fatto non sussiste.

Si conclude così questa curiosa storia dove le protagoniste sono tutte donne, vittima, accusate, pubblica accusa e presidente del tribunale di Torino, e dove vediamo le contrapposte inconciliabili versioni della ragazzina e delle nigeriane che esitano in una verità giudiziaria apparentemente avulsa dai fatti realmente accaduti e difficile da comprendere.

Ma, come si dice, «le sentenze vanno sempre rispettate» e così dobbiamo ritenere che in via Argentero non sia successo nulla.

Forse l’unico delitto è il discutibile restauro del portone!

Milo Julini

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende