Nino Farina, l’uomo missile

Il 13 maggio 1950 il sole splendeva sul circuito di Silverstone in Inghilterra.
Sulle tribune del 3° British Grand Prix, prima gara valida per il campionato mondiale di formula 1,
Re Giorgio VI e famiglia coronata si godevano coi binocoli il formicolio di meccanici e piloti intorno alle vetture ai nastri di partenza.
Erano presenti alla sfida fuoriserie Alfa Romeo, Maserati (di cui una pilotata dal Principe siamese Bira), le francesi Talbot-Lago, le britanniche ERA e Alta.
Il rombo dei bolidi spaccò timpani.
In prima fila, in rosso sgargiante con lo stemma del quadrifoglio che luccicava, tutta la scuderia Alfa Romeo al gran completo: l’argentino Juan Manuel Fangio, Luigi Fagioli, Reg Parnell e Nino Farina, quarantaquattrenne pilota torinese, gran divoratore di donne e di motori.
Era un figlio d’arte Giuseppe detto Nino; a Torino suo papà Giovanni era stato il fondatore degli Stabilimenti Farina, grande ed importante carrozzeria piemontese.
I missili a quattro ruote schizzarono su di giri, coi 350 cavalli imbizzarriti sotto il cofano. Circuito dai lunghi rettilinei quello di Silverston.
Marce alte e piedi pesanti sull’acceleratore, a rompere i limiti della meccanica. Nino Farina, casco e occhialoni come tutti gli altri ma con l’aggiunta di un sigaro cubano stretto tra i denti, prese subito la prima posizione della gara.
La fuoriserie italiana godeva di un rapporto peso/potenza diabolico, da kamikaze. 700 kg di furia rossa, una leggera palla di fucile sparata sopra l’asfalto inglese.
Farina ottenne il giro più veloce; un minuto e 50 secondi di adrenalina estrema.
Nei primi giri della giostra mozzafiato, venne tallonato dai compagni di squadra Fangio e Fagioli e con loro, in un carosello a rotta di collo, giocò al sorpasso ai 250 km/h, perdendo e riconquistando il primo posto a ripetizione, in una rumorosissima danza da 8.000 giri al minuti.
Le tre F: Farina, Fangio e Fagioli, campioni del grande automobilismo.
L’argentino non mollò l’inseguimento fino a quando non fu costretto al ritiro per problemi tecnici durante il 62° giro.
Nino Farina trionfò, conquistando la bandiera a scacchi, la corona d’alloro, l’esplosione di champagne, e il primo “Hat trick” della storia della formula 1: vittoria e giro più veloce.
Che anno che fu per lui il 1950
I successivi trionfi di Svizzera e Monza gli permisero di salire sul podio più alto della classifica del mondiale; al secondo posto con distacco di soli tre punti il super-campione Fangio, che poi vincerà cinque titoli mondiali di cui quattro consecutivi.
Quell’annata d’oro per il torinese dalla vita ai 300 km orari non si ripeté più. Continuò a gareggiare come un leone con il vezzo del sigaro durante le sfide su curve e rettilinei e con le braccia tese sui volanti di automobili che parevano siluri. Al ritiro dell’Alfa Romeo dopo la stagione del 1951 passò alla scuderia Ferrari dove l’uomo-macchina Alberto Ascari spadroneggiava vittoria dopo vittoria.
Ma l’automobilismo è anche uno sport pericoloso, si sa.
In Argentina Nino perse il controllo della vettura e investì alcuni spettatori sul ciglio della pista, uccidendoli.
Fu un tragico incidente che non scalfì l’immagine del pilota eccezionale.

Poi ci fu il 30 giugno del 1966.
Nino Farina era a bordo della sua Ford Cortina Lotus. Si stava dirigendo a Reims per godersi il Grand Prix de France.
La vettura scalava i tornanti delle Alpi.
Ad Aiguebelle, nella Savoia, la Ford Cortina prese una curva ad alta velocità, troppa, uscendo di strada e devastandosi.
Quel giorno la macchina, habitat naturale del grande pilota, diventò la sua bara.
Federico Mosso