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Massimo D’Azeglio: la storia del poliedrico politico piemontese

Da Simone Nale

Dicembre 07, 2020

Ritratto volto Massimo d'Azeglio

Nonostante l’odio verso la politica, Massimo d’Azeglio servì per tutta la sua vita il Regno di Sardegna e la causa dell’Italia Unita.

Quella di Massimo D’Azeglio è certamente una delle figure più importanti del Risorgimento italiano.

Prima di tutto politico e patriota, nella sua attività governativa fu un fervente moderato liberale, favorevole alla causa federalista.

Acerrimo rivale politico di Cavour, servì il Regno di Sardegna prima come senatore e poi come Primo Ministro.

Ma in vita fu anche un abile letterato e pittore, noto per i paesaggi e i quadri di battaglie.

Massimo Taparelli marchese d’Azeglio, nasce a Torino il 24 ottobre del 1798.

Figlio quartogenito del marchese Cesare Taparelli e di Cristina Morozzo di Bianzè, nasce in una nobile famiglia di Lagnasco, imparentate con i Balbo.

Massimo erediterà il titolo di Marchese d’Azeglio, un comune dell’Alto Canavese, proprio dal padre Cesare.

Insieme alla famiglia, trascorse i primi anni della sua vita in esilio a Firenze, per via dell’occupazione napoleonica del Piemonte.

Negli anni di Firenze, il piccolo Massimo si recava spesso in casa della contessa d’Albany per recitarle i versi che lei gli faceva imparare come compito.

In quelle occasioni, fece la conoscenza di Vittorio Alfieri, amante della contessa e grande amico del padre. Nelle sue memorie, Massimo D’Azeglio racconta come, in una circostanza, Alfieri lo avesse portato nello studio del pittore François Xavier Fabre.

L’artista francese usò il piccolo Massimo di quattro anni, come modello per l’opera della Sacra Famiglia, oggi custodita a Montpellier.

Ciò nonostante, a Firenze ricevette una severa educazione, impostagli dai genitori presso le Scuole Pie.

Ritratto Massimo d'Azeglio
Massimo D’Azeglio la storia del poliedrico politico piemontese

Con il tramonto dell’Impero Napoleonico, la Famiglia Taparelli tornò a Torino.

All’età di 13 anni, Massimo D’Azeglio frequentò filosofia all’Università di Torino, ma senza brillare particolarmente.

L’adolescenza del futuro primo ministro fu caratterizzata da un’indole vivace e festaiola.

Solo in epoca più tarda si riavvicinò a quel portamento austero e serio ricevuto dall’educazione del padre.

Sempre per volontà di papà Cesare, Massimo iniziò a praticare fioretto, nuoto e anche equitazione. Capitava spesso che il padre conducesse il figlio a fare lunghe escursioni nei boschi, per simulare situazioni militari e prepararlo al futuro.

Nel 1814, Napoleone venne definitivamente sconfitto.

In quell’occasione, su richiesta di Re Vittorio EmanueleII , il padre Cesare venne inviato al Vaticano in rappresentanza di Casa Savoia.

Massimo accompagnò il padre nel suo viaggio, e durante la permanenza a Roma entrò in contatto con tanti scrittorio e scultori, tra cui un anziano Antonio Canova.

Quella fu occasione per approfondire una delle sue più grandi passioni: la pittura.

Però, come di consueto per una famiglia aristocratica, Massimo d’Azeglio intraprese la carriera militare.

Seguendo le orme del padre, entrò come allievo ufficiale sottotenente del Reggimento di Cavalleria “Reale Piemonte.

Ma in seguito a dissensi nei confronti della sua stessa classe sociale, entrò in un reggimento di fanteria come segretario, all’ambasciata Sarda di Roma.

Tornato poi a Torino per vedere la famiglia, Massimo cambiò inaspettatamente stile di vita.

Cominciò a dedicarsi interamente allo studio e alla pittura.

Ma a seguito di un esaurimento nervoso, decise di ritrasferirsi a Roma per nostalgia, portando con sé il fratello Enrico e la madre.

A Roma approfondì gli studi letterari, cominciando con la stesura di alcuni brevi poemi. Poco dopo, soggiornò brevemente a Napoli, per aiutare il fratello Enrico, gravemente malato. Enrico si riprese e D’Azeglio continuò la propria vita da pittore e letterato, alternandosi tra salotti intellettuali di Roma, Firenze e Milano.

Proprio in quegli anni pubblicò il suo primo libro “La Sacra di San Michele” a Torino. Con la morte del padre, nel 1831 si trasferì nella città meneghina fece la conoscenza di Alessandro Manzoni.

I due furono grandi amici.

Attraverso l’amicizia con Manzoni, Massimo conobbe la figlia Giulia, che diventerà sua moglie. Ma presto rimase vedovo, Giulia morirà infatti qualche anno dopo le nozze.

Ciò nonostante, l’ambiente di Milano fu decisamente proficuo per il lavoro artistico di Massimo D’Azeglio. In questo contesto presentò vari dipinti all’Accademia di Brera, vendendone poi alcuni. Scrivendo in parallelo il romanzo storico “Ettore Fiermosca“, nel 1833.

Ripresosi dalla scomparsa della moglie Giulia, Massimo conobbe e poi sposò in seconde nozze Luisa Maumary, nel 1835.

Busto Massimo d'Azeglio

Dopo l’alternarsi tra Firenze, Roma e Milano, Massimo D’Azeglio tornò a Torino nel 1845

Proprio nella Capitale Sabauda, Massimo D’Azeglio cominciò a interessarsi alla politica attraverso Re Carlo Alberto, con la pubblicazione di vari opuscoli antiaustriaci.

Sincero patriota italiano e cosciente della grandi differenze tra i regni della penisola. Massimo D’Azeglio si mostrò fin da subito favorevole all’unificazione sotto forma di una confederazione di stati, a guida piemontese. Per le sue posizioni venne duramente attaccato dai mazziniani e definito da Cavour come il suo più empio rivale.

Nel 1848, in qualità di colonnello, partecipò a numerose operazioni militari che interessarono il settentrione orientale dello Stivale.

Combattendo in prima linea con l’esercito sabaudo, si distinse in più occasioni per il suo grande coraggio.

Il 10 giugno dello stesso anno, venne ferito al ginocchio da un colpo di moschetto austriaco nei pressi di Vicenza.

In seguito ricevette le cure presso l’ospedale da campo di Ferrara e poi quello di Bologna. Ancora convalescente, venne eletto a deputato del Parlamento Subalpino per il collegio di Strambino.

D’Azeglio declinò l’offerta, lasciando il posto a Vincenzo Gioberti. Ritiratosi in Liguria, cadde in una profonda depressione, peggiorata poi l’anno successivo dalla disfatta di Novara. Ma il 25 aprile del 1849, ricevette un’altra chiamata da Casa Savoia, era re Vittorio Emanuele II, che gli propose nuovamente la carica di presidente del consiglio.

Nonostante l’ennesimo rifiuto, dovette piegarsi alla volontà del re.

Nel 1849 Massimo d’Azeglio divenne Primo Ministro del Regno di Sardegna

La presidenza D’Azeglio attraversò uno dei periodi più difficili della storia d’Italia.

Il neo ministro si trovò ad affrontare subito la pace con l’Austria dopo la sconfitta della Prima Guerra d’Indipendenza.

Un anno dopo, Massimo d’Azeglio si dimostrò favorevole alle famose leggi Siccardi, che abolivano i privilegi della Chiesa. Nonostante le complicanze nei rapporti con la chiesa, il Primo ministro si trovò a dover sostituire il ministro Santarosa dopo la morte di quest’ultimo.

D’Azeglio fece proprio il nome di Camillo Benso Conte di Cavour come candidato al ministero dell’Agricoltura. Cavour diventò ministro l’11 novembre del 1849, malgrado le reticenze di Vittorio Emanuele II.

Massimo d’Azzeglio visse la sua prestigiosa posizione politica con molta insofferenza. Egli rimpiangeva i tempi della giovinezza, dei salotti e soprattutto la pittura.

Ciò nonostante dovette continuare il tanto odiato lavoro.

Nell’estate 1851, la legislatura d’Azeglio si ritrovò in enormi difficoltà.

Nel mentre d’Azeglio si stava godendo un momento di relativa quiete nella Riviera ligure, Cavour ne approfittò per prendere il controllo del governo.

Il Conte cominciò ad avvicinarsi al centro sinistra per far cadere il governi del primo ministro.

Sostenendo la candidatura di Urbano Rattazzi, avversario di d’Azeglio alle elezioni, Cavour ne assicurò l’elezione.

Statua Massimo D' Azeglio a Torino
Massimo D’Azeglio la storia del poliedrico politico piemontese

Di fronte a questa situazione, Massimo d’Azeglio decise di dimettersi il 12 maggio del 1852.

Tuttavia, Re Vittorio Emanuele II gli rinnovò la fiducia, e pochi giorni dopo formò un nuovo governo, ovviamente senza Cavour.

Per quanto detestasse la sua carica pubblica, in realtà le legislature di Massimo d’Azeglio svolsero un lavoro più che discreto.

A tal punto da ricevere numerose lodi e apprezzamenti dall’Inghilterra.

Lo stesso ministro venne elogiato in più occasioni dai futuri ministri britannici Lord Palmerston e Disraeli.

Comunque la crisi governativa continuava a peggiorare.

Massimo d’Azeglio, ormai snervato dai sacrifici che richiedeva il suo lavoro e dalle vecchie ferite di guerra, decise che fosse il momento di ritirarsi.

Il 22 ottobre del 1952 si presentò davanti al Re con le sue dimissioni, proponendo Cavour come successore.

Nonostante avesse lasciato la carica di primo ministro, d’Azeglio promise sostegno al suo successore.

Ma nel 1852 approfittò dei suoi contatti inglesi, per dedicarsi alla pittura.

Così Massimo d’Azeglio si recò oltre la Manica dove ebbe modo di lavorare su numerose commissioni artistiche.

Inoltre, fu proprio durante la sua permanenza a Londra che venne ricevuto dalla Regina Vittoria, la quale lo invitò a pranzo a corte.

Tuttavia la politica non si allontanò mai dall’ex primo ministro.

Per amor della patria, seguì da vicino l’evolversi della Guerra di Crimea, in aiuto a Cavour, che lo spesso si avvaleva del suo aiuto.

In più occasioni venne inviato come rappresentante del Regno di Sardegna alla corte di Napoleone III e in Inghilterra, per risolvere le congiunture politiche dell’Unità d’Italia.

Con lo Scoppio della Seconda guerra di Indipendenza, ebbe l’incarico di costituire un governo provvisorio a Bologna, mentre nel 1860 divenne governatore della provincia di Milano.

Ma ormai veramente distrutto e acciaccato, Massimo d’Azeglio trascorse gli ultimi anni delle sua vita sul lago Maggiore.

Rimasto solo con le sue idee, scrisse le sue memorie “I miei ricordi“, pubblicate poi postume nel 1867.

Massimo d’Azeglio morì a Torino, in via Accademia Albertina, nel 1866.

Sicuramente, durante la sua intensa carriera politica, Massimo d’Azeglio avrebbe preferito dedicarsi a tutt’altro.

Ma non si possono oscurare le sue eccellenti doti politiche e l’incredibile contributo che diede per l’Unità d’Italia.

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Simone Nale

Laureato in Scienze Umanistiche della Comunicazione all'Università di Torino. Appassionato di storia della televisione e nuovi media