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Balena Golia, storia di un cetaceo a Torino

Da Deniele De Stefano

Luglio 19, 2016

Le diverse decine di chilometri che separano Torino dal più vicino specchio d’acqua marina, fanno sì che tra le moltissime cose che cittadini e turisti possano vedere in giro per le sue strade, molto (molto) difficilmente figuri una balena. Tuttavia, l’avventurosa vicenda della balena Golia ci insegna che tutto è possibile…

La storia della balena Golia

Più di sessant’anni or sono vi fu infatti un imprenditore torinese che portò nel centro della città una vera balena norvegese in carne ed ossa, Cioè non proprio, visto che il cetaceo era stato precedentemente svuotato e semi-imbalsamato.

Ma andiamo con ordine.

La balena fu uccisa sulle coste della Norvegia da un gruppo di cacciatori che ne avevano estratto la carne ed il grasso, col quale produrre l’olio.

Da un cetaceo di quasi 70 tonnellate per 22 metri di lunghezza se ne possono ricavare in grandi quantità (basti pensare che solo la lingua pesava 2200 chilogrammi, il fegato 650, il cuore 550, etc.). Quello che rimaneva della carcassa fu riempito con  ben 7000 litri di formalina, al fine di fermarne la decomposizione e trasformare il mammifero morto in un’attrattiva da far visitare ai curiosi.

L’idea a quanto pare piacque a Giuseppe Erba, torinese di nascita e già direttore del teatro Alfieri, il quale acquistò la balena Golia (così fu battezzata la creatura, o quel che ne restava) per portarla in Italia.

balena golia
Golia caricato sulla nave

Farle passare il confine fu il primo problema

la legge infatti impediva l’ingresso del nostro paese di un animale morto, e per ovviare al problema fu necessaria una piccola truffa.

Venne così inserito all’interno della balena Golia un motore che faceva muovere la sua enorme coda, e il trasporto fu effettuato nelle ore di buio per fare in modo che, con la complicità dell’oscurità, quest’ultimo sembrasse ancora vivo.

Lo stratagemma ebbe successo, così il 20 luglio del 1954 la balena Golia venne esposta in quella che allora era conosciuta come piazza della cittadella, oggi un parcheggio rialzato situato tra piazza Arbarello, corso Siccardi, via Fabro e via Bertola.

Entrando in un tendone da circo collocato sulla piazza, circondato da un recinto che portava i colori della bandiera norvegese, ci si trovava di fonte al mostruoso animale marino ed alla possibilità di visitarne l’interno. Un’esposizione sicuramente stupefacente, che però portava con se un problema pratico non trascurabile: la carcassa di una balena di 68 tonnellate, sottoposta al calore dell’estate torinese, puzza.

Nonostante tutta la formalina, la manutenzione e i vasi di gerani che arredavo il ventre della balena Golia, le testimonianze dell’epoca raccontano di un fetore a metà tra il disinfettante ed il pesce avariato

Ma a lamentarsi dell’inconveniente non erano tanto i visitatori quanto, ovviamente, coloro che abitavano vicino alla mostra, vessati continuamente da quel tanfo. I vermi si moltiplicavano nelle sue carni marcescenti e, nonostante Giuseppe Erba colse questa cosa come un’opportunità vendendoli ai pescatori, lo spettacolo non era dei migliori.

Sono probabilmente questi i motivi per cui l’esposizione durò soltanto fino al 25 di Luglio 1954, sei giorni dopo l’apertura.

La fine di Golia? Sì e no.

Cinque anni più tardi, con il nome mutato in un più internazionale Goliath, la balena ricompare in Svizzera, tappa iniziale di un tour che la porterà in giro per l’Europa.

L’idea è di due imprenditori che rispondono ai nomi di Pierre Siffert e Jean Rezzonico, i quali organizzano una mostra itinerante dedicata all’industria baleniera.

Goliath è affiancata da altri due esemplari della stessa specie, Hercules e Jonah.

Un aneddoto curioso che le riguarda è il modo in cui i tre cetacei sono stati oggetto di perquisizioni particolarmente approfondite una volta arrivati sul confine della Bulgaria.

A quei tempi il paese era una repubblica comunista facente parte del blocco sovietico e la polizia locale temeva si trattasse un’operazione di spionaggio, un moderno cavallo di troia usato dall’occidente per penetrare nel territorio.

balena golia
Pubblicità sulla “Stampa” del 23 Giugno 1972

Nel 1969, quando si trovava in Israele, la nostra balena cambia ancora di proprietà, acquistata da Gustavo Cottino, un impresario originario del pinerolese che intendeva riportarla in Italia. Purtroppo, durante il trasporto via mare, una tempesta colse la nave nella quale soggiornava Goliath danneggiandola in modo quasi irreparabile. Ricostruita a Bari con della cartapesta, ormai dell’animale originale restavano soltanto i fanoni, ovvero le lamine che alcuni tipi di balena hanno in bocca al posto dei denti e che utilizzano per filtrare l’acqua dai piccoli organismi di cui si nutrono.

Si potrebbe pensare che la storia di Golia (Goliath) finisce qui, invece, in questo corpo assai meno nobile, riparte il suo viaggio che la porta da Bari a Roma, Firenze, Bologna ed infine di nuovo Torino: è il 28 Aprile 1970 e nella sua nuova veste la balena riscuote un enorme successo.

La puzza (per ovvie ragioni) è completamente scomparsa, non ci sono vermi e il numero di persone che arrivano per ammirare un “vero” cetaceo è tale che l’esposizione si prolunga per oltre un mese e viene ripetuta al parco del Valentino due anni più tardi.

Daniele De Stefano

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Deniele De Stefano

Nato e cresciuto a Torino, sono diplomato in informatica all’Itis Avogadro e laureando in lingue e letterature straniere presso l’università di Palazzo Nuovo. Amo moltissimo la mia città, ne sono orgoglioso, e mi piace mostrare agli altri cosa essa può offrire ed il motivo per cui le sono così legato.