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“Craxi fece chiudere Stampa Sera”: intervista a Silvano Costanzo

Da Alessandro Maldera

Dicembre 31, 2015

silvano costanzo [fonte Mole24]

Di seguito proponiamo l’intervista fatta a Silvano Costanzo, ultimo caporedattore dello storico giornale pomeridiano torinese, per l’appunto Stampa Sera. Il botta-risposta si è svolto nella sua galleria d’arte nel quartiere di San Salvario, dove l’ex-cronista ha svelato a Mole24 alcuni rari fatti storici e il dietro le quinte di una redazione che dopo quasi 25 anni è ancora nel cuore di molti lettori.

 Partiamo dall’inizio, com’è finito a Stampa Sera?

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< Perché ero bravo! (risata) Bisogna inquadrare il periodo. Sono stato assunto nel dicembre del ’74, momento in cui Torino aveva 3 giornali, La stampa, Stampa Sera e la Gazzetta del Popolo. Quest’ultimo già andava male, per i cronisti era un fuggi fuggi generale. Stampa sera era meno paludato e permetteva ai giovani di farsi le ossa. Quindi, mentre La Stampa assumeva solo giornalisti già formati, Stampa Sera assumeva giovani promettenti>.

Che tipo di giornale era e come funzionava all’interno della redazione?

<Era un giornale fatto al volo, si cominciava alle 6.00 e si finiva all’una. Tre edizioni diverse, tre giornali nell’arco di 7 ore, il che era un inferno. Eravamo una 50ina. Quando sono arrivato io nel ’74 c’erano persone di 65 anni che facevano parte di un mondo completamente diverso, il giornalista era una figura socialmente rilevante, arrivavano tutti da famiglie per bene. Chi aveva per vacanza la villa a capri o chi a casa parlava il giovedì solo francese o inglese, e pensi che queste persone non avevano mai imparato ad usare la macchina da scrivere. Usavano la Montblanc, e i linotipisti ricomponevano, era un mondo molto diverso>.

Stampa Sera non era l’unico a Torino, il fallimento derivò quindi dalla concorrenza o dal semplice calo delle vendite come risulta in rete?

<No, Stampa sera la fece chiudere Bettino Craxi>.

E perchè?

< Era il quotidiano del pomeriggio per tutta la settimana. Quando la domenica non usciva La Stampa, il lunedì usciva Stampa Sera che sostituiva La Stampa e che vendeva in assoluto di più. Quelli di Stampa Sera non erano particolarmente simpatici. Dell’edizione settimanale [di Stampa Sera] a Craxi non importava viste le poche vendite, mentre con l’edizione del lunedì si arrivava anche a 600mila copie e queste andavano in tutta Italia, era una potenza. C’erano alcuni cavalli pazzi che scrivevano quello che volevano. Dico che lo fece chiudere Craxi perché fu così davvero. È vero che le vendite non andavano bene, come tutti i giornali del pomeriggio, ma è vero che era un giornale molto scomodo. Tanto che la chiusura venne chiesta da Craxi a firma Ghino di Tacco, pseudonimo da lui usato sull’Avanti, con mezza paginetta, intimando di chiuderla; è una cosa ufficiale. Poi certo, si andava male anche dal punto di vista delle vendite, oramai tutti i pomeridiani avevano chiuso o stavano chiudendo, le persone guardavano la televisione>.

 Che genere di lettori avevate? C’era differenza tra i vostri lettori e quelli de La Stampa?

< La tipologia era molto mista, pur essendo un giornale leggero. Avevamo lettori di estrazione culturale non altissima oppure abbastanza alta da capire che gli si stava strizzando l’occhio s qualcosa di importante. La Stampa non avrebbe potuto fare questo, era paludata e seria; d’altronde era il giornale ufficiale della famiglia Agnelli, sarebbe stato difficile>.

Ma La Stampa vendeva di più?

<Si, La Stampa vendeva 400mila copie, più o meno, mentre Stampa Sera 50mila, ma semplicemente perché [La Stampa] veniva venduta in tutta Italia. In realtà Stampa Sera prima veniva venduta in tutto il Piemonte con qualche copia a Milano e Roma. Poi un po’ alla volta si è stretto il cerchio sulla sola Torino, a prescindere quindi chiuso, a prescindere da Craxi>.

A parità di distribuzione, Stampa Sera avrebbe potuto avere più possibilità di vendita de La Stampa?

<Dipende, era un omnibus, un giorno magari ci trovavi solo cazzate mentre l’altro giorno ci trovavi notizie niente male. Quando facevo l’inviato, la notizia della fine delle BR la diede Stampa Sera, con il pentito che fece prendere tutti. E sempre Stampa Sera annunciò che il capo di Prima Linea era il figlio del ministro Marco Donat Cattin, e che il ministro era stato interrogato in merito in procura. Oppure pubblicava interviste a terroristi ancora latitanti. Cosa impensabile per La Stampa. C’era meno censura su Stampa Sera, uscivano tante cazzate ma c’erano anche cose buone>.

 Di cosa si occupava a Stampa Sera?

<Ho fatto l’inviato negli anni ’70, periodo in cui mi sono occupato prevalentemente di terrorismo, ho fatto poi il capo degli esteri e il caporedattore. Quando ha chiuso Stampa Sera sono passato a La Stampa occupandomi di politica interna.>

Che differenza ha riscontrato tra Stampa Sera e La Stampa?

< C’erano vantaggi e svantaggi. Un esempio. Stampa Sera era un piccolo giornale, tranne l’edizione del lunedì, quindi se voleva parlare con un ministro doveva mettersi in coda e molto spesso nemmeno ci riuscivi. Con la stampa era il ministro che chiamava per farsi intervistare, questa era la grande differenza; dal punto di vista positivo. Quello negativo era l’ambiente. A La Stampa c’era un ambiente serio o serioso, dipende. A Stampa Sera invece era sbarazzino, ci andavamo a fare le feste con gli amici e le fidanzate. Tra una edizione e l’altra spostavamo le scrivanie e facevamo le partite di pallone in redazione, in campo Redazione contro Cronaca. C’erano più giovani sopratutto>.

Visto le differenze, cosa le hanno dato i due giornali?

<Stampa Sera è stata una cosa miracolosa da un punto di vista giornalistico, per me. I giornali si dividono in due categorie, quelli grandi e quelli piccoli. Quelli grandi hanno una struttura redazionale fissa per cui il giovane che entra forse dopo vent’anni arriva a lavorare, scrivere. In quelli piccoli se uno è giovane e bravo, da subito lo mettono a lavorare, a fare anche le cose importanti. Stampa Sera era piccolo e mi ha consentito di occuparmi di cose importanti, ci sono entrato a 26 anni, un bambino, però avendo una grossa editrice alle spalle aveva i mezzi; Stampa Sera mi mandava se c’era, ad esempio, la vicenda del 7 aprile 1978 [caso Moro n.d.r.], in “spedizione” per un mese nel grande albergo con l’autista, cose impensabili anche per i giornali grandi, adesso come adesso. Il problema in realtà era che il lavoro era frenetico. Un esempio. All’inizio quando facevo l’inviato, mezz’ora prima della chiusura del giornale le BR [Brigate Rosse n.d.r.] uccidono un ufficiale dei carabinieri e in mezz’ora bisognava scrivere 7-8 cartelle [14mila battute n.d.r.], tant’è che di tutti quelli della redazione sono l’unico superstite! I ritmi erano stressanti. Si scriveva così: macchina da scrivere-un capoverso-foglio al collega-fattorino-tubo di posta pneumatica-proto-linotipista, e intanto componevi il secondo capoverso, una roba mortale, molto divertente, molto. Era un altro mondo. Il problema di tutta questa velocità era il non poter verificare la notizia. Magari scrivevi che qualcuno aveva ricevuto una scarica di proiettile quando in realtà era sano come un pesce, d’altronde avevi dieci minuti per scrivere>.

Chi vi dava le notizie?

< Le notizie fuori Torino le agenzie di stampa, mentre per quelle all’interno, c’erano i cronisti che lavoravano in pretura, tribunale, polizia, dai carabinieri e così si aveva le notizie. E poi c’era il radio-ascolto, ovvero una radio illegale che avevano tutti i giornali e che erano sintonizzati sulle frequenze radio della polizia, per cui appena la polizia diceva qualcosa, il cronista si fiondava sul luogo dell’accaduto, spesso e volentieri arrivando anche prima delle forze dell’ordine. Era molto ruspante. Però c’era grande differenza tra i giornali di allora e quelli di adesso. Allora i giornali producevano notizie, ora i giornali non sono aziende che producono, sono aziende che elaborano notizie, che scelgono le notizie, arrivano tutte tramite agenzie, la base nude e cruda arriva dall’agenzia e poi si sceglie solo come metterle o a quali dare rilevanza facendo poi le telefonate di turno agli esperti del caso per dare rilevanza alla notizia voluta. Ora le notizie sono sempre le stesse>.

Come è ricordata oggi Stampa Sera?

<Ho verificato che c’è stato un grande rimpianto per un giornale che “strizzava l’occhio”, soprattutto per chi ora è 50enne e che allora era ragazzo, quando Stampa Sera chiuse. Aveva un po’ di tutto, fu ad esempio il primo a dare le notizie sugli spettacoli, cosa che ora trovi ovunque. Le palline del critico sui film le ha messe per primo Stampa Sera! Poi c’era la sezione del “cosa succedeva in città”, quindi le diverse inaugurazioni e gli eventi. In un miscuglio quindi di cronaca nera e cose più leggere; cosa che la stampa ha fatto solo più tardi. Stampa Sera fu importante anche perché l’esperienza sull’informatica fu fatta lì, primo giornale in Italia, ad usare la rete per fare informazione. Infine qualche anno fa è pure uscita un’edizione di un giornale d’arte che faceva riferimento Stampa Sera [Arte Sera n.d.r.], questo per dire il ricordo che è rimasto non è morto lì>.

Torniamo a lei. Il suo primo giorno di lavoro?

< Il capo della terza pagina, nei giornali importanti la terza era quella letteraria, da noi erano cose più leggere, beh, era disperato perché senza notizie, poi gli venne un’idea. Fare un pezzo sui torinesi e le loro mete vacanziere durante il ponte che il giorno dopo sarebbe cominciato. Mi disse -Intervisti 9 persone, piccola fotografia, nome e cognome, dove vanno, piccolo cappello, tutto 8-9 cartelle- Gli chiesi per quando lo voleva -Ora sono le 6 e mezza, diciamo per le 7 e mezza-, io gliela diedi alle 8 e mezza. Era impossibile farcela, d’altronde quando il caporedattore mi assunse mi chiese se fossi veloce ed io gli risposi di si, assunto. Chiaramente già mi conoscevano, lavoravo in un giornale cattolico “Il nostro tempo”. Invece dal punto di vista di un ragazzo che inizia, che impara, e si occupa di cose importanti fu impagabile, evasione e arresto di Curcio [Renato], morte di Mara Cagol, attentati..una roba indescrivibile, ti sentivi al centro del mondo>.

 Ultima domanda, perché divenne giornalista?

< Scrivere era l’unica cosa che sapevo fare bene. Ho avuto anche molta fortuna perché in quel decennio lì, fine ’60 prima metà ’70 le porte si aprirono, prima e dopo invece diventavano giornalisti solo chi aveva i contatti. In quel periodo sono entrate persone di estrazione culturale diversa senza amici ne conoscenze, cosa che ne prima ne dopo sarebbe potuta accadere, pur essendo brave. Si era aperta l’Italia, le grandi manifestazioni, la rivoluzione si pensava fosse dietro l’angolo. Era successa una cosa importante. Nel ’69 la DC con la legge Sullo, legge apparentemente di poco conto ma che fu fondamentale, aprì gli accessi all’università, prima se avevi fatto ragioneria potevi fare solo economia ad esempio. Per cui le famiglie povere non avrebbero potuto mandare i figli al liceo. Un intero mondo non poteva accedere all’università>.

Intervista a cura di Damiano Grilli con la collaborazione di Alessandro Maldera

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende