La cucina borghese del Piemonte
La cucina del ceto borghese piemontese, consolidatasi con l’Unità d’Italia, può essere considerata come la via di mezzo tra la cucina popolare e la cucina nobile di palazzo.
Di fatto, non è limitata dalla grande parsimonia dei ceti popolari ma neanche è condizionata dallo sfarzo e dal lusso della cucina nobiliare e di palazzo.
Il ceto medio era governato nella scelta degli ingredienti, sia dal concetto di risparmio. sia dalla possibilità di usare ingredienti che erano difficilmente accessibili ai ceti popolari.
Per l’appunto, anche nella loro cucina troviamo pratiche e prodotti molto simili a quelli di estrazione contadina, come
- tecniche di conservazione dei prodotti che ne sfavoriscano il deterioramento
- l’utilizzo delle frattaglie
- molti prodotti provenienti dall’orto e dai pollai
- l’utilizzo di alimenti del territorio e stagionali.
Per contro, erano presenti nei propri piatti, ingredienti che denotavano maggiori ricchezza, come per esempio:
- numerose ricette a base di carne, considerata per i ceti poveri un bene di lusso
- l’utilizzo del pesce in alcuni piatti, trovandosi in una regione lontana dal mare
- diverse ricette di dolci, alimenti da sempre considerati non essenziali per la sopravvivenza
Inoltre ricordiamo che nel periodo dell’ascesa della borghesia, due cuochi della Real Casa Savoia si cimentarono nella stesura di ricettari indirizzati al ceto borghese.
Questi due libri sono “La Vera Cucina Casalinga – Sana, economica e delicata” (1851) di Francesco Chapusot e la “Cucina Borghese semplice ed economica” (1864) di Giovanni Vialardi, . Entrambi considerati come testi di base della cucina della borghesia piemontese.
In conclusione, data la varietà degli ingredienti, la cucina della classe media può essere definita come la più variegata e numerosi piatti, divenuti simbolo della nostra cucina regionale, provengono da questa categoria sociale.
Clara Lanza