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La storia della Rai: il primo servizio radiotelevisivo d’Italia

Da Simone Nale

Luglio 06, 2021

Palazzo Rai via Cavalli 6 Torino

Nel corso della sua storia la RAI ha affascinato una generazione intera di italiani con i suoi celebri programmi, impregnandoli nella memoria di tutti

Senza dubbio l’approdo della televisione in Italia grazie alla RAI, è stato un evento rivoluzionario.

Ma per raccontare la storia della Rai facciamo un breve passo indietro.

L’invenzione della medium della televisione, come lo conosciamo oggi, è datata al 1925.

Anno in cui l’ingegnere John Logie Baird realizzò un primo modello elettro-meccanico basato sul disco di Nipkow.

L’apparecchio del pionieristico inventore scozzese venne rimpiazzato poco dopo da un dispositivo interamente elettrico. La prima televisione degna di nota, messo a punto dall’americano Philo Farnsworth.

I primi televisori erano talmente tanto di nicchia, che il loro prezzo si aggirava attorno a quello di un’automobile sportiva.

Ciò nonostante, negli anni ’40 i “Broadcaster” e i contenuti dei programmi del futuro erano già presenti, solo con trasmissioni via radio.

Bisognerà quindi aspettare gli anni ’50 che la televisione faccia il suo ingresso nelle case di tutti, in Nord-America così come in Europa, per poi arrivare un po’ più tardi anche in Italia.

Logo televisivo Rai 1954

Il 3 gennaio del 1954 andò in onda il primo e unico canale televisivo dell’epoca, ovviamente la RAI

Ma la sua storia inizia molti anni prima, addirittura negli anni ’20, con le prime ricerche e test televisivi, a Torino.

Il capoluogo piemontese viene infatti definito come “la culla della radio italiana“.

La prima stazione radiofonica nasce nel capoluogo piemontese il primo novembre del 1929, 6 giorni dopo il crollo della borsa di Wall Street.

Ma in realtà, la città dei Savoia si affaccia al mondo della radio già nel 1927.

Anno in cui il governo concede il canone di radioaudizione all’URI, l’Unione Radiofonica Italiana.

Fu proprio in quel periodo che si ebbero le prime programmazioni sperimentali, a opera di quello stesso ente radio-televisivo che sempre nel 1927 prenderà poi il nome di EIAR o “Ente italiano per le audizioni radiofoniche”.

Già verso la metà degli anni Trenta, si poteva di fatto assistere ad un palinsesto regolare chiamato “Radiovisione“.

Nonché l’implementazione del monopolio televisivo, che durerà fino agli anni Settanta.

Tuttavia, l’Italia si trovava in pieno periodo fascista e l’EIAR trasmetteva innanzitutto programmi di propaganda per il regime. Come il Radio orario, che una volta trasferitosi da Roma a Torino prenderà il nome di Radio Corriere o Radio Giornale.

Giunta definitivamente in Piemonte, l’EIAR acquista e rinnova nel 1932 alcuni dei locali del Teatro di Torino

Dove grazie alla fusione con l’orchestra di Milano verranno registrati concerti e orchestre per i primi programmi radio-televisivi.

Solo molti anni dopo, nel 1952 l’ente (ormai diventato RAI) acquistò definitivamente il Teatro, trasformandolo nell’odierno Auditorium RAI di via Verdi.

Oggi giorno, a Torino si trova anche il Museo della Radio e della televisione RAI, contenente centinaia di cimeli e strumenti di trasmissione pioneristici così come tanti apparecchi moderni.

Ma non solo, al numero 31 di via Verdi rimane la sede della Produzione Radiofonica, così come in via Cavalli 6 si trova il Centro di Ricerca e Innovazione tecnica.

Mentre al Centro di Produzione all’ombra della Mole vengono ormai commissionati programmi di nicchia, certamente non rilevanti tanto quanto le produzioni del quartier generale di Roma.

Comunque, tornando indietro, il coinvolgimento dell’Italia nella Seconda guerra mondiale, mise momentaneamente da parte le trasmissioni, le quali ripresero solo nel Dopoguerra.

L’innegabile collegamento tra l’EIAR il fascismo, obbligò la nuova Repubblica italiana a far nascere un nuovo emittente nazionale.

Dalle spoglie dell’EIAR nacque quindi la Radiovisione italiana, la RAI.

Ripresero i test e gli esperimenti del nuovo broadcast, che si conclusero proprio il 3 gennaio del 1954 con, come detto in precedenza, la messa in onda del primo programma televisivo.

La televisione impiegò poco tempo a sconvolgere l’intera società italiana.

Soprattutto per il fatto che la RAI, nei suoi primi vent’anni di storia, mantenne il monopolio di stato, rimanendo l’unico emittente che legalmente poteva offrire quei contenuti mediali.

concorrenti programma Rai "Lascia o Raddoppia"
Concorrenti di Lascia o Raddoppia

Ma quali furono i primi programmi della storia trasmessi dalla RAI?

Una domanda lecita, per la quale però non bisogna dimenticare che il televisore stesso non era ancora un’oggetto che potevano permettersi tutti.

Di fatto, il prezzo del medium era di circa 200mila lire. Quando uno stipendio medio negli anni Sessanta si aggirava tra le 30mila e le 50mila lire del tempo.

Comunque sia, l’attività dell’ente televisivo venne inaugurata con un semplice comunicato dei programmi del giorno, da parte dell’annunciatrice Fulvia Colombo.

Ma il primo vero programma fu “Arrivi e partenze“, condotto da un giovanissimo Mike Bongiorno, che si basava essenzialmente sulle intercettazioni e le interviste di personaggi famosi.

Le prime trasmissioni della RAI erano decisamente altalenanti. Non era quindi inusuale, in qualsiasi momento della giornata, accendere il televisore e ammirare per ore l’odiatissimo monoscopio.

Che solo in futuro venne poi sostituito dal rullo del palinsesto.

Ma lentamente e inesorabilmente le trasmissioni divennero presto incessanti.

Nei primi anni gli ascolti erano, per forza di cose, bassissimi. Ma nel novembre del 1955 andò in onda la prima puntata di quello che sarebbe diventato uno dei programmi più amati dagli italiani.

Stiamo parlando di Lascia o Raddoppia.

Il celebre game-show televisivo di Mike Bongiorno, “preso in prestito” dalla tv statunitense, provocò i primi fenomeni di aggregazione sociale.

Infatti, chi possedeva un televisore al tempo, sapeva bene che il sabato sera si sarebbe trovato i vicini o gli amici sull’uscio di casa per guardare insieme la televisione.

Alessandro Manzi nel programma non è mai troppo tardi
Alessandro Manzi nel programma ” Non è mai troppo tardi”

Sul finire degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta la televisione diventa un fenomeno di massa

Il piccolo schermo non era più ad appannaggio esclusivo dei ceti benestanti (o dei locali pubblici), ma era anche alla portata di tutti.

Diverse alternative, come la televisione “a gettoni” permisero ai ceti medi di divenire anche loro spettatori della RAI.

E visto il crescente numero di ascolti, ma anche l’alto tasso di analfabetismo nella penisola, e l’ancora ampia diffusione dei dialetti, la RAI decise di produrre “Non è mai troppo tardi“.

Un programma educativo, condotto da Alessandro Manzi, concepito con lo scopo di insegnare e istruire tutti gli spettatori che fossero magari incapaci di leggere o di scrivere.

Da quel momento, la storia della Rai cambiò. Il mezzo televisivo divenne non solo uno strumento di intrattenimento, ma anche di educazione e informazione.

Si trattavano di trasmissioni, che a partire dal 1958, videro anche l’inserimento degli spot pubblicitari, attraverso una formula molto particolare.

In effetti tra quelli di maggiore successo dell’epoca, c’era il “Carosello”.

Il quale, composto esclusivamente da una serie di lunghissimi (per i giorni nostri) annunci pubblicitari, oltre a scenette comiche o intermezzi musicali, incantava le serate di tutte le famiglie italiane, diventando così un’icona nazionale.

Logo Carosello Rai

Dato l’incredibile aumento dell’audience e di nuove idee, si decise di aprire un secondo canale

Nel 1961, infatti venne inaugurato “il secondo canale“.

Nato per ampliare l’offerta di contenuti del palinsesto, fin da subito divenne un canale di basso livello, a confronto con il primo.

Principalmente dedicato a programmi dal budget decisamente scarso, proprio questo fatto fece diventare il secondo canale un luogo di nicchia.

Dove conduttori e artisti esordienti potevano fare esperienza, in attesa di poter salire verso la “Serie A”, ovvero il primo canale.

Eppure, quello che poi si chiamerà Rai 2, ha dato vita a trasmissioni storiche come:

Il “Festivalbar“, un tripudio musicale tanto in voga tra i giovani.

Nonché “Rischiatutto“, l’ennesimo ma popolarissimo game-show di Mike Bongiorno.

Proprio per questi motivi, si definì poi per il secondo canale un target giovanile.

Teoricamente mantenuto fino al giorno d’oggi.

Ma sarà giusto quando il secondo canale raggiungerà il massimo degli ascolti, che le continue pressioni dei mass media indirizzeranno lo Stato a legalizzare la Televisione privata.

Loghi mediaset: canale 5, Italia 1, Rete 4

Nel 1975 il Parlamento approva la legge sul pluralismo informativo: cambia la storia della Rai

Da quel momento, la gestione del mezzo di comunicazione televisivo passò in mano alla Camera dei Deputati e non più al Governo.

Come conseguenza i canali statali cominciano ad essere contesi tra i partiti politici e presto gli “slot” televisivi vennero destinati per tutti i propositi.

A distanza di 4 anni, di fatto, fa la sua comparsa il terzo canale della Rai (futuro Rai 3)

Dando vita alla concorrenza, “spietata” ma prolifica, dei partiti per il controllo dei canali televisivi.

Il primo canale finisce nella mani della Democrazia Cristiana, il secondo in quelle del Partito Socialista, mentre il terzo entra in possesso del Partico Comunista.

Ne conseguiranno programmi rinomati, come per esempio “Domenica in” di Corrado e “Portobello” di Enzo Tortora.

Ma nel frattempo, la RAI comincia a perdere colpi, soprattutto perché il pubblico, ormai stanco dei soliti tre canali, chiede nuovi contenuti.

La proliferazione di emittenti private, inizialmente abusive, attraverso la tv via cavo, porterà a una svolta fondamentale nel mondo televisivo.

La Televisione privata viene legalizzata nel 1984 e presto nascono tantissimi nuovi canali, insieme a quelli già presenti della RAI.

Uno dei quali si chiamava Telemilano58, di proprietà di un giovane imprenditore lombardo di nome Silvio Berlusconi, che in futuro prenderà il nome di Canale 5 all’interno del Gruppo Mediaset.

Possiamo dire in conclusione che, dagli anni Novanta fino ai giorni nostri continua la concorrenza tra i Broadcaster privati (come Fininvest) e la RAI.

Eppure ora come ora la tv in chiaro comincia sempre di più a perdere il suo fascino, oscurata dalla fama e dalle potenzialità delle moderne piattaforme di streaming.

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Simone Nale

Laureato in Scienze Umanistiche della Comunicazione all'Università di Torino. Appassionato di storia della televisione e nuovi media