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Beppe Gandolfo, il giornalista che racconta Torino all’Italia

Da Alessandro Maldera

Gennaio 15, 2014

Beppe Gandolfo, il giornalista che racconta Torino all'Italia

“Adès studia, poi ne riparliamo”. Si sente rispondere così nel ’76 l’allora diciassettenne Giuseppe Gandolfo, per tutti Beppe, quando annuncia di voler fare il giornalista.

Una passione scoperta quasi per caso, in una notte di viaggio passata a parlare con un sacerdote, don Pier Giuseppe Accornero, direttore de “La voce del popolo”, il settimanale della diocesi torinese.

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Un racconto che si dipana di pari passo con il tragitto che dal capoluogo piemontese, città natale del futuro giornalista del Tg5, porta i ragazzi di alcune parrocchie in Friuli, per aiutare la popolazione alle prese con i danni del terremoto.

Un diploma in ragioneria, poi gli inizi proprio nel giornale della parrocchia; il salto verso il piccolo schermo, quello di Grp prima e di Telesubalpina poi.

Nella rinnovata emittente torinese Gandolfo ha l’arduo compito di creare da zero il telegiornale: manca tutto, ma a soli 22 anni, mette in pratica tutto ciò che aveva visto fare nella redazione di Grp e l’esperimento funziona alla grande.

Beppe Gandolfo, il giornalista che racconta Torino all'Italia

Dopo 10 anni di televisione una nuova avventura all’Ansa, come redattore per la cronaca giudiziaria, inviato per i fatti del Piemonte e giornalista sportivo. Beppe Gandolfo inizia così a seguire il Torino, non solo più da tifoso qual è, ma da occhio indiscreto e professionalmente distaccato.

“Era il ’92, un anno importante per la storia granata. Ho seguito la squadra per tutta la stagione, fino alla finale di coppa Uefa ad Amsterdam” racconta Gandolfo, facendoci riassaporare quei momenti. “In Olanda mi raggiunse il capo dello sport dell’Ansa. Il Toro perse la coppa senza aver perso mai una partita, nemmeno la finale (finì 2-2 all’andata e 0-0 al ritorno e l’Ajax vinse grazie alla regola dei gol in trasferta, ndr), Mondonico alzò la famosa sedia al cielo e io piansi per la rabbia. Il giorno dopo il mio capo scrisse una lettera al direttore dicendo che ero molto bravo, ma inadatto a seguire il Toro. Troppo coinvolto”.

Quella lettera segnò un cambiamento profondo nella vita di Gandolfo, spostato sull’altra sponda del Po, quella bianconera, per seguire la squadra che in quegli anni stava dominando a livello internazionale.

Che rapporto c’era con Luciano Moggi? Lo avevi visto prima al Toro, poi per tanti anni alla Juve dei tempi d’oro. C’era la sensazione che nascondesse qualcosa, si parlava già di cupola ai tempi?
Si sapeva che lui avesse una grandissima rete di contatti, estesi in molti ambiti, anche al di fuori del calcio. Io con lui avevo un buon rapporto, quotidiano. Mi ricordo che durante una trasferta mi vide un po’ giù di morale e venne a chiedermi cosa non andasse. Mio padre in quel periodo non stava molto bene e gli dissi che avevo problemi a trovargli un posto in ospedale per farlo ricoverare. Appena arrivati in albergo, non mi ricordo se a Lisbona o a Varsavia, mi arriva una telefonata: “Beppe, non ti preoccupare, quando torniamo in Italia porta tuo padre in “quell’ ospedale” mi han detto che il posto c’è”. Questo per spiegare che tipo di persona era, con molti agganci, ma di cuore.

Non è il Moggi che hanno dipinto i media da calciopoli ad oggi…
Io credo che l’abbia rovinato la Juve. Un certo stile, un certo ambiente. Gli hanno chiesto troppe cose al di fuori del calcio, doveva vincere sempre, portare continuamente nuovi soldi a tutti i costi.

Poi il Tg5, come inviato da Piemonte e Val d’Aosta. Qual è il servizio che ti ha regalato più emozioni?
10 febbraio 2006, tempo di Olimpiadi. Apertura del Tg, conduce Mentana, mi dà la linea e io mostro la macchina del Presidente della Repubblica che arriva, scende la moglie di Ciampi che dichiara: “Mi beccherò un malanno, ma ho viaggiato con i finestrini aperti perché oggi Torino è troppo bella”. Per uno nato e cresciuto a Torino, aprire il più importante tg nazionale con la propria città è un’emozione, una carica che ricorderò per sempre.

Beppe Gandolfo, il giornalista che racconta Torino all'Italia

Torino e i torinesi soffrono di un certo qual complesso di persecuzione? Spesso si fa notare come i media parlino a stento di cosa succede qui e poi c’è l’ormai antica diatriba sul fatto che le migliori invenzioni, anche commerciali, avvengano sotto la Mole e poi ci vengano scippate da altre città
Riporto solo la frase di un politico piemontese che qualche tempo fa disse: “Ha fatto più Gianfranco Bianco (giornalista del tg regionale, ndr) per le montagne e la provincia di Cuneo che tutte le campagne promozionali della Regione”. Questo per dire che riuscire a portare immagini del nostro territorio in diretta nazionale ha più valenza di tutti i messaggi istituzionali per il turismo. È il peso della televisione, nel bene e nel male.

A proposito di Piemonte nell’immaginario collettivo, tu ti intendi parecchio di enogastronomia, vero?
Sì, collaboro anche con Gusto, la rubrica del Tg5 e ho spinto molto per far conoscere ricette o eccellenze della nostra regione. D’altronde materiale ce n’è in abbondanza. Per carità, in Italia è vero che si mangia bene ovunque, ma qui abbiamo alcune zone che hanno saputo promuovere i loro prodotti in maniera incredibile: penso al Barolo o alla Fiera del Tartufo.

Per deformazione professionale, hai un’attenzione particolare per tutto ciò che succede da queste parti, al punto da aver deciso, ormai da dodici anni, di raccogliere tutti gli avvenimenti dell’anno in un libro, Un anno in Piemonte, e ora anche in un blog.
Il libro è nato dall’esigenza di organizzare una mole di fatti, date, personaggi e avvenimenti enorme, che rendeva difficile anche il mio stesso lavoro. Un anno in Piemonte è uno strumento utile per avere a portata di mano tutto quello che è successo negli ultimi dodici mesi e a livello di comodità il blog è ancora meglio. Abbiamo inserito un motore di ricerca interno, per cui basta digitare una parola chiave e vengono selezionate tutte le notizie attinenti.

Beppe Gandolfo, il giornalista che racconta Torino all'Italia

Com’è cambiato il giornalismo in Italia negli ultimi vent’anni? Noti anche tu la tendenza ad una certa spettacolarizzazione dei fatti, invece di un equidistante racconto?
Io sono cresciuto con la vecchia scuola del “ti presento i fatti nella maniera più asettica possibile, poi tu spettatore sarai in grado di farti la tua personale opinione”. Ora non è più così, ora il giornalista è chiamato, attraverso l’informazione, ad orientare l’opinione della gente.

Di chi è la colpa? Dei media sempre più invasivi o della gente che non è più in grado di farsi un’opinione da sola?
La colpa è del fatto che in Italia manca completamente un’informazione libera, manca un editore puro che non faccia questo lavoro per avere dei rendiconti personali, politici o economici. Il vero problema sta nella nostra categoria: io posso permettermi di rifiutare alcune pressioni, ma non perché abbia più spina dorsale di altri. Semplicemente perché io ho un contratto. Gran parte di coloro che compongono il mondo dell’informazione odierna non è contrattualizzata e per questo motivo è più soggetta a pressioni di qualsiasi tipo. Se dovessi andare in ospedale e a curarmi fossero degli infermieri alle prime armi, non specializzati e senza un contratto, io sinceramente mi incavolerei. Invece, per ciò che riguarda l’informazione italiana a nessuno frega nulla.

Internet è il futuro dell’informazone?
Internet è già il presente. Una volta le famiglie aspettavano il tg delle 20, ora alle 20 tutti sanno già tutto. La televisione deve cambiare e in parte lo sta già facendo con le reti all news 24 su 24. In una giornata normale faccio magari 30 collegamenti con Tg Com e un solo servizio per il Tg5.

La notizia che ti ha colpito maggiormente nel 2013 piemontese?
La mummia di Borgo San Dalmazzo, una vicenda incredibile che ancora rimane oscura in molte parti.

Sarà un buon 2014 per Torino?
Spero di sì. Con le Olimpiadi ha saputo scrollarsi di dosso quell’immagine grigia che le era stata affibbiata. Poi la crisi ha colpito duro, soprattutto considerando il fatto che Torino è ancora una città manifatturiera. Per fortuna oggi non si basa più tutto esclusivamente sulla Fiat, ma sul terziario, per cui qualche segnale di ripresa c’è. Non so che anno sarà il 2014, il mio lavoro mi ha insegnato a non aspettarmi mai nulla!

Marco Parella

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende