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“Essere il Portabandiera alle Paralimpiadi sarà un onore per tutti gli sportivi disabili”

Da Alessandro Maldera

Novembre 22, 2013

Quando giocava ad hockey su ghiaccio a Torre Pellice tutti lo chiamavano già “Ciaz”, ora, dopo che un incidente in moto gli ha portato via una gamba, lo chiamano ancora tutti  Ciaz.

Perchè Andrea Chiarotti, classe ’66, continua a portare avanti la sua passione, declinata da qualche anno nello sledge hockey, l’hockey per disabili; perchè Ciaz è diventato capitano della sua squadra di club, i Tori Seduti, della sua nazionale, quella con la maglia azzurra ed il tricolore sul petto e sarà lui a portare la nostra bandiera a Sochi nel 2014;  perchè a Ciaz, con una o due gambe, il buonumore non lo porta via nessuno.

Ciao Ciaz, come ti senti da quando ti hanno detto che sarai tu il Portabandiera della delegazione italiana alle prossime Paralimpiadi in Russia?
Non ci credo ancora. Quando Pancalli (Presidente del Cip, Comitato Italiano Paralimpico) mi ha telefonato per comunicarmi questa decisione ero felicissimo, ma soprattutto incredulo. Mon me l’aspettavo proprio, anzi, pensavo scegliessero Enzo Masiello, uno sciatore di fondo che a Vancouver nel 2010 ha vinto un argento e un bronzo.

Portare la bandiera del proprio Paese nella cerimonia di apertura è un onore riservato a pochissimi atleti. Sei fiero che la scelta sia caduta su di te?
È stato premiato l’intero movimento, non me. È stata premiata la nostra nazionale che in pochi anni è cresciuta esponenzialmente di livello ed è un bellissimo riconoscimento per una disciplina, lo sledge hockey che fino a meno di dieci anni fa in Italia non esisteva.

Andrea "Ciaz" Chiarotti, pronto per l'allenamento al Palatazzoli di Torino
Andrea “Ciaz” Chiarotti, pronto per l’allenamento al Palatazzoli di Torino

Esatto, ma un po’ del merito per aver introdotto lo sledge qui da noi è anche tuo, vero?
Diciamo di sì, ma tutto nacque abbastanza per caso. Mentre in altre parti del mondo lo sledge hockey è uno sport che ha già una tradizione con campionati e tanti atleti che lo praticano, fino al 2003 in Italia nessuno ne conosceva l’esistenza. Nel 2002 alle Olimpiadi invernali di Salt Lake City, la delegazione azzurra fu invitata ad assistere alla finale di hockey su ghiaccio paralimpico tra Norvegia e USA. Spettacolo grandioso, anche per le 7.000 persone sugli spalti. Ne furono tutti entusiasti e al ritorno a Roma mi contattarono per creare una squadra.

Dal 2003 ad oggi cosa è cambiato?
Praticamente tutto. Allora la Federazione mi aveva dato l’incarico come allenatore, ma io non avevo mai provato uno slittino. Un giorno mi sedetti per vedere cosa si provava e mi è piaciuto subito un casino! Ho contattato Massimo Da Rin per fargli fare l’allenatore e io mi sono rimesso a giocare.

Allenamento di un gruppo di giovani giocatori dei Tori Seduti a Torino
Allenamento di un gruppo di giovani giocatori dei Tori Seduti a Torino

Quella di Sochi sarà la tua terza Paralimpiade, come dire che da quando la Nazionale è nata non se ne è persa una.
Sì, da quel primo allenamento di dieci anni fa il livello è cresciuto tanto. A Torino eravamo Paese ospitante e qualificati di diritto, ma fummo la Cenerentola del torneo, finendo ottavi su otto. A Vancouver invece ce la siamo sudata la qualificazione e abbiamo vinto anche la nostra prima partita paralimpica, piazzandoci settimi. A Sochi speriamo di essere una sorpresa, dato che, nel frattempo, abbiamo anche vinto il titolo di Campioni d’Europa (nel 2011, ndr)

Nello stesso spogliatoio dei Tori Seduti in cui abbiamo incontrato Ciaz, spogliatoio che nulla ha da invidiare a quello di una qualsiasi squadra di normodotati (stessa puzza, stesso caos, stessi interessi, come potete vedere dalla foto qui sotto), scambiamo due parole anche con Gabriele Araudo, portiere.

Anche tu in Nazionale, sembra proprio che a Torino si giochi del buon hockey!Hai ragione, qui siamo in sei ad essere stabilmente nel giro della Nazionale, cinque giocatori e un portiere, io

Tipico spogliatoio da hockeysti
Tipico spogliatoio da hockeysti

Come sei arrivato allo sledge hockey?A malapena sapevo cos’era il ghiaccio prima di avere l’incidente. Poi mio padre nel 2007 ha svolto servizio come volontario ai mondiali di Pinerolo e ha provato a chiedere come si facesse per imparare a giocare. Da quel momento è stato subito amore.

Pensi che in Italia lo sport per i disabili sia adeguatamente sponsorizzato da Federazioni sportive ed istituzioni?In Italia nessuno ti dice nulla, non c’è la cultura. È un peccato perchè, per esempio, negli Stati Uniti dopo un incidente grave che causa disabilità ti propongono subito di fare sport. Lo sport aiuta tanto, non solo a livello fisico, ma soprattutto a livello psicologico, ti permette di accettare la tua nuova condizione senza troppe paure o insicurezze.

Quante squadre di sledge hockey ci sono in Italia?
Tre: noi dei Tori Seduti (campioni nazionali nel 2005, 2006, 2007 e 2013), l’Armata Brancaleone di Varese e gli altoatesini delle Aquile Sud Tirol. Poi c’è anche il Pontebba, ma sono quasi tutti austriaci, per cui di atleti italiani ce ne sarà una cinquantina in tutto.

Lo spogliatoio della squadra e uno degli slittini usati dai giocatori
Lo spogliatoio della squadra e uno degli slittini usati dai giocatori

Sei contento della scelta di nominare Ciaz Portabandiera?
Contentissimo. È il coronamento di anni di sforzi fatti da Andrea per far crescere il movimento. A lui dobbiamo tanto, come anche a tutte le persone che ci seguono e ci danno una mano. In una squadra di hockey, e ancor più di sledge, è fondamentale il lavoro degli attrezzisti e dobbiamo ringraziarli tanto perchè loro vengono qui per passione, non per denaro. Qui tutto è passione.

Marco Parella

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende