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“Vorrei assumere più medici, ma non me lo lasciano fare”

Da Alessandro Maldera

Settembre 24, 2013

Bruno Battiston è un primario del C.T.O. di Torino, Direttore dell’Unità Operativa di Traumatologia muscolo-scheletrica, è innamorato del suo lavoro, ballerino, ciclista e sciatore spericolato nel (poco) tempo libero. Ha un ufficio al primo piano che ricorda più l’intimo studiolo di casa che la sala in cui un luminare riceve frotte di studenti e specializzandi ansiosi di imparare qualcosa.

A dire il vero, c’è una mezza dozzina di diplomi appesi sulla parete alle spalle di una scrivania immediatamente identificabile come cespite del SSN, ma quando mi accoglie e mi fa accomodare la prima cosa che noto sono i fermacarte che tiene in bella vista: tutti a forma di mano.

Un po’ come se nel salotto di Cristiano Ronaldo il tavolino fosse un pallone di cuoio e l’abat-jour a forma di parastinco. Un modo, insomma, per ricordarmi subito quello che fa dal mattino alla sera, tutti i giorni: operare persone, ricostruire tendini, ridurre fratture, guarire la gente.

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Il dott. Bruno Battiston

“Scusi il disordine, ma ne approfitto per scrivere un po’ nei ritagli di tempo tra un intervento e l’altro” esordisce stringendomi la mano. Il neon proietta dal soffitto la sua luce omogenea sulle veneziane orientabili che, in questo contesto, fanno poco 9 settimane e mezzo e molto, per l’appunto, ufficio pubblico, ma illumina anche un giovane primario di 53 anni che ha tante idee per migliorare la sanità italiana.

“Adeguamento degli organici, tanto per cominciare. Se è vero che i costi del servizio sanitario pubblico in questo momento storico devono essere tenuti sotto controllo, è altrettanto lampante che il taglio indiscriminato compiuto negli ultimi tempi non è un bene. Da un lato i concorsi sono bloccati da anni e tutti gli specializzandi validi che vediamo passare dal C.T.O. e che vorremmo assumere, perché ci rendiamo conto che andrebbero ad aumentare la qualità dello staff, non hanno sbocchi professionali. D’altra parte è anche vero che per i dipendenti pubblici (e quindi non solo per i medici) vige ancora quel modello cristallizzato che non permette praticamente di licenziare. È difficile che qualcuno venga cacciato, non è come negli Stati Uniti dove il mercato è più aperto. Lì se non raggiungi gli obiettivi sei fuori e la struttura dovrà poi rimpiazzarti con uno più bravo e preparato creando così un circolo virtuoso. In Italia se uno fa il minimo sindacale cosa gli puoi dire? Nulla”.

Però se un medico sbaglia qualcosa sul lavoro parte subito una causa, obietto.

“Sì, ormai è una moda, è vergognoso vedere pubblicità di studi legali che incitano i cittadini a fare causa per qualsiasi inezia. Non esiste più il concetto di complicazione, ora l’unica domanda valida è ‘chi paga?’. Si arriverà al punto che i dottori, per paura delle cause, non opereranno se il paziente non avrà prima sottoscritto una polizza ad hoc che copra l’intervento. Anche perché le compagnie assicurative sono sempre meno inclini a coprire il danno medico e dunque siamo meno tutelati ogni giorno che passa”.

Non posso fare a meno di pensare che, in ogni caso, lo stipendio medio di un dottore (anche di quelli che fanno solo il minimo sindacale) è discretamente alto e gli chiedo se secondo lui la categoria a cui appartiene è pagata troppo in rapporto al salario di molti altri lavoratori.

 La risposta è sincera e per nulla scontata. “Non mi piace piangere di gamba sana (sì, è proprio un ortopedico…), per cui le dico che abbiamo la fortuna di avere stipendi garantiti e che consentono una vita decorosa. Rispetto alla media europea, però, siamo relativamente sottopagati ed è per questa ragione che molti colleghi cercano gratificazione nel privato, anche solo per togliersi qualche sfizio scientifico, come comprarsi un testo particolarmente raro o pagarsi un congresso oltreoceano”.

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Il complesso del C.T.O. visto dall’alto

Ritornando sui rimedi da adottare per migliorare lo stato attuale delle cose, il dott. Battiston continua: “Sarebbe molto importante prevedere una serie di incentivi ai dipendenti su base meritocratica, non indiscriminati. E non intendo solo in termini economici, ma anche e soprattutto a livello di carriera, un iter basato esclusivamente sull’impegno, la preparazione e la qualità. Qualità, e questo è il terzo punto, che dovrebbe essere la bandiera da portare avanti nel pubblico a dispetto della quantità che si privilegia nel privato. Adeguare gli standard di lavoro ai livelli europei sarebbe un grande passo in avanti che porterebbe ad abbattere, per esempio, i lunghi tempi delle liste d’attesa”.

Discorsi da medico, ma anche da manager, come quelli che fa il dottor Angelo Del Favero, Direttore della Città della Salute, la maxi Azienda Ospedaliera che dall’anno scorso raggruppa il C.T.O, l’ospedale ostetrico ginecologico Sant’Anna, quello infantile del Regina Margherita ed il presidio ospedaliero delle Molinette/San Giovanni Battista.

Il risultato è il polo sanitario più grande d’Europa con circa 12.000 dipendenti, quasi 66.000 ricoveri annui e circa 6 milioni di prestazioni ambulatoriali.

Numeri da capogiro che mi fanno ripensare ad una dichiarazione di Del Favero nella quale rivendica condizioni particolari e clemenza nel giudicare i quasi 25 milioni di passivo attualmente a bilancio. Innanzitutto la Città della Salute è una grande opportunità non solo di riduzione dei costi, ma anche per una messa in comune di risorse mediche, infermieristiche ed amministrative” precisa subito Battiston. “Tutta una serie di scambi scientifici che già avvenivano tra i diversi ospedali, ora sono stati semplificati e incontrano meno difficoltà burocratiche, si sono aperte nuove opzioni di collaborazione. Di contro, uniformare una mole simile di procedure richiede tempi lunghi e può esserci il rischio di livellarsi verso il basso invece che verso l’alto. È come una Torre di Babele in cui ognuno parla la sua lingua, ci vuole tempo perché accorpare oltre una certa soglia crea mastodonti difficili da gestire, nonostante il dott. Del Favero abbia ottime competenze in campo manageriale”.

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Tutto giusto, ma non avete paura che una struttura come le Molinette, definita dal suo stesso primario dott. Salizzoni “un ospedale da medioevo”, intacchi l’isola felice del C.T.O.?

“Il Centro Traumatologico e Ortopedico è un’isola non perfetta, ma sicuramente felice. I dati del Ministero ci vedono nelle prime posizioni in molte categorie, siamo il centro di riferimento per i politraumi e siamo rinomati a livello europeo. Il nostro è un edificio più recente delle Molinette, ma, come loro, abbiamo dei problemi di tipo strutturale. Questo grattacielo di 16 piani è stato costruito nel 1961 con una concezione post-bellica basata sullo sviluppo verticale, concezione perfetta per qualsiasi palazzo dedicato ad uffici, ma non l’ideale per una struttura sanitaria. Gli spostamenti in verticale per i pazienti e soprattutto per le urgenze sono un problema grosso, tant’è che in tutto il mondo gli ospedali si sviluppano in orizzontale, proprio per facilitare i trasporti interni dei malati. Le dirò di più, all’estero gli ospedali vengono abbattuti e ricostruiti con criteri più moderni. Costa meno riedificare da zero che spendere capitali in ristrutturazioni o aggiungere ascensori, come si fa qui da noi”.

Il pomeriggio scivola in una delle prime serate fresche della stagione e io non voglio abusare troppo del tempo del primario (mi fa sempre un certo effetto la figura di una persona che, comunque la vogliate intendere, fa direttamente del bene agli altri; mi sembra di rubarle il tempo che potrebbe dedicare a scopi più nobili), ma ho ancora alcune curiosità da togliermi.

Che hobby ha un primario quando smette il camice bianco?

“Il ballo. Qualche anno fa, in coppia con mia moglie, abbiamo anche partecipato a qualche gara di rock ‘n roll acrobatico. Poi amo la bici e lo sci, ma in entrambi gli sport mi vado a cacciare in situazioni che, con gli occhi del medico, non sarebbero proprio raccomandabili!”

Uno specialista come lei (primo caso in Italia di re-impianto di entrambe le gambe ad un uomo) guarda serie tv tipo Dottor House o Grey’s Anatomy?

“Le mie figlie mi fanno vedere spesso Scrubs e mi piace molto perché è dissacrante. Le fiction che invece hanno la pretesa di essere tecniche non le guardo per nulla”

Scusi se glielo chiedo, ma lei a 53 anni si sente arrivato?

“Io mi sento al top della carriera, sono professionalmente realizzato, faccio un lavoro che mi piace il cui valore è riconosciuto anche a livello internazionale, coordino un gruppo di persone molto preparate e capaci e non ambisco alla carriera politica. Sarebbe lo step successivo, ma a me piace operare, essere in prima linea e non voglio staccarmene. Cosa vuoi di più dalla vita?”

Marco Parella

 

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende