Nemici amici: aspettando Genoa – Toro

A distanza di quattro anni da quel torrido pomeriggio che, di fatto, anche se non matematicamente, sancì la retrocessione del Torino in serie B, Genoa e Torino si ritrovano di fronte in una gara delicatissima.
Lo fanno a Marassi, dove il Toro non ha mai avuto vita facile (il successo in campionato manca da trent’anni) e dove i Grifoni perdono da quattro incontri consecutivi, cinque contando il derby, anche se giocato in casa della Samp per il calendario (matematica la considerazione da tifoso: “mica continueranno a perdere in casa anche contro di noi, resusciteremo anche loro”).

Quattro anni fa si ruppe (del tutto? In parte?) un gemellaggio storico, antico, bello. Gli ultras più vecchi, delle due fazioni, raccontano storie suggestive riguardo quest’amicizia, questo vero e proprio “bene” fra le due tifoserie, fatto di partitelle aspettando il match, di giri e mangiate nelle rispettive città, di presenze nelle trasferte delle rispettive squadre, soprattutto nei derby.
Poi, quella partita infernale, quel 2-3 che rovinò tutto, in cui molti persero il controllo, in campo e sugli spalti. La rabbia cieca esplosa al gol di Milito, fece esplodere parte dello stadio, verso i genoani in tripudio. Forse, e soprattutto, da parte di chi quel gemellaggio, nei fatti, l’ha vissuto più da lontano, in maniera meno attiva, più come un dato di fatto che come un sentimento vero.
A dire il vero, lo stesso tipo di atteggiamento lo si ritrova anche dall’altra parte. Tornato a casa dallo stadio, quel giorno, lessi i commenti su un sito di tifosi del Genoa e, a fianco di chi si diceva dispiaciuto della situazione, si trovava qualcuno di felice, che parlava di un giusto epilogo per una serie di tensioni iniziate ai tempi della famosa valigetta di Genoa-Venezia, che costò ai rossoblù la retrocessione in serie C.
Ai tempi, la dirigenza granata, come confermato dalla Cassazione, pare avesse chiesto un forte impegno ai lagunari, già retrocessi, contro i liguri, con cui il Torino era in lotta per la promozione diretta.

Cosa diede fastidio quel pomeriggio alla tifoseria di casa? L’impegno profuso dal Genoa?
Eppure il Genoa si giocava l’accesso alla Champions League e, al gol di Milito, per qualche istante agganciò proprio l’ultimo posto utile, poi Jorgensen pareggiò a Lecce e riportò davanti la Fiorentina.
Non era, tanto per dirne una, il Chievo che, tranquillo, venne a giocarsela alla morte (sin qui nulla di male), salvo impegnandosi meno in altre gare, allo stadio Delle Alpi, col Toro in lotta per la promozione con il Perugia. Se in quella partita bisogna prendersela con qualcuno in campo, forse sarebbe il caso di arrabbiarsi di più con Pisano, per esempio, che ha causato il rigore dell’1-0 con un fallo inspiegabile su un defilatissimo Rossi.
Se bisogna prendersela con qualche genoano in campo, allora ce la si potrebbe prendere con alcuni dei protagonisti della rissa finale, su tutti Rubinho, l’atleta di Dio, tuffatosi nella mischia come un picchiatore consumato, poi, ennesima dimostrazione di assenza di memoria storica da parte della dirigenza, addirittura acquistato da Cairo un paio d’anni dopo.
Si potrebbe dire che il Genoa, sempre quell’anno, a Bologna, s’impegnò ben poco. Si potrebbe anche dire che quello che fanno le squadre in campo, qualunque siano i protagonisti (ex juventini sotto la Lanterna, ex doriani sotto la Mole, per esempio), non dovrebbe scalfire i rapporti sugli spalti. Si potrebbe anche dire che non tutti hanno quel buonismo insito nei granata, chissà perché poi, che, al momento buono, diventano agnellini per amicizia, come contro la Reggina nella storica gara della promozione in A dei calabresi, con l’immagine oscena di Sanna che sviene sulla linea sul gol di Martino.
E, soprattutto, si dovrebbe dire che quel buonismo, per un Toro a cui in ben pochi hanno regalato qualcosa nella storia, non è un pregio, ma il peggiore dei difetti.
Forse a dare fastidio fu l’atteggiamento dei tifosi del Genoa, esultanti davanti ai loro “Fratelli” che retrocedevano. Entusiasmo spontaneo o nato dopo gli insulti partiti dalla parte avversa dopo il doloroso 2-3? Difficile da ricostruire, è stato davvero un attimo, un maledetto attimo.
E cosa ci si aspetta domenica? Ostilità, indifferenza, un’inaspettata voglia di rinnovare l’amicizia? Nessuno lo sa, o meglio, ognuno ha la sua speranza, la sua opinione, la sua idea. Io dico la mia. Io ricordo di aver seguito l’epopea del Genoa in Coppa Uefa, parallelamente a quella del Toro di Mondonico, con grande trepidazione e tifo, esultando come un matto ai gol di Skuhravy contro l’Oviedo, alle imprese contro il Liverpool, al gol, purtroppo inutile, di Iorio in casa dell’Ajax.
E ricordo di aver sognato una finalissima tra le due squadre.
Io ricordo Franco Scoglio, le sue parole, l’accomunare i popoli granata e rossoblù. Io ricordo capitan Signorini, se ci penso mi viene un groppo in gola, come se fosse stato capitano della mia squadra. Io ricordo una curva bellissima, in uno stadio stupendo e ricordo che, ogni volta che in tv c’è un servizio sulle gare genoane, osservo come la Nord schizza per aria dopo un gol e sorrido.
Io ricordo che De Andrè era genoano. Sono molto poco razionali, certo, ma sono ricordi e sensazioni che, anche se non mi faranno chiamare “fratello” un genoano, nella misura in cui possono chiamarlo le persone che i gemellaggi li hanno stretti e vissuti davvero, non me lo farà mai odiare, ma sempre guardare con simpatia, al di là dei risultati sul campo e al di là del fatto che domenica io speri di batterli con tutto il cuore. Soprattutto, non me li farà mai odiare per quella famosa partita, per una retrocessione che ha tanti responsabili (arbitraggi indecenti, società, molti giocatori inadeguati e con poco mordente) che, nella classifica di rabbia e contumelie, dovrebbero venire molto prima.
Francesco Bugnone