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Giancarlo Giudice: il più efferato serial killer di Torino

Da Alessandro Maldera

Maggio 09, 2012

Giancarlo Giudice serial killer Torino

Siamo ad agosto del 1986, il capo della Squadra Mobile di Torino incita i suoi sottoposti: “Ragazzi, o lo incastriamo subito oppure quel porco ci prende di nuovo in castagna. Tiratemi fuori tutte le foto delle prostitute che abbiamo schedato, aggiungiamoci quelle che hanno assassinato, poi portatemi il tizio che sta di là e gli mostriamo il malloppo”.

L’uomo a cui si riferisce è il camionista Giancarlo Giudice.

Il sospettato, che ha già trascorso due mesi nel manicomio giudiziario di Reggio Emilia, è stato causalmente fermato durante un controllo di routine a Santhià.

Nell’auto in cui era a bordo sono stati trovati due pistole ed un asciugamano intriso di sangue fresco, presente anche sul sedile passeggero.

Giudice ha da poco ucciso la sua ultima vittima e se ne è appena sbarazzato. Inizia l’interrogatorio della Mobile di Torino.

Sassi mostra le foto e Giancarlo Giudice ribatte con una calma inattesa: “Va bene, quello che cercate sono io. Ho ammazzato nove donne, ma erano tutte battone ed erano vecchie e brutte. Le odiavo”.

Ci sono attimi di sgomento. Il capo della Mobile chiede se non si sia confuso, alla polizia risultano otto vittime.

Giudice non si sbaglia.

La prima vittima non è stata collegata alla serie di uccisioni. È data ancora per scomparsa poiché il suo corpo è stato ritrovato totalmente sfigurato. Il numero così alto di vittime fa del sospettato uno dei più grandi omicidi seriali della nostra nazione.

Giancarlo Giudice serial killer Torino

Giudice uccide prostitute piuttosto avanti con l’età e poco piacenti

Con quegli atti sublima il suo odio viscerale per la matrigna.

Uno dei motivi che ha rallentato le indagini e ha fatto supporre che i delitti fossero collegati solo dopo parecchio tempo, è che l’assassino uccide in modi differenti e si comporta in vario modo con i corpi. Sei sono le donne che strangola, una quella sgozzata e due vengono freddate con colpi d’arma da fuoco.

Due cadaveri li da alle fiamme, quattro li abbandona e gli altri li butta in acqua. Un comportamento poco usuale se si esamina la metodologia classica dei serial killers.

Per capire il comportamento dell’assassino si fa presto luce sul suo passato. Giancarlo Giudice ha avuto un’infanzia negata, è cresciuto in collegio e ha perso la madre a 13 anni. Viene a sapere della dipartita materna solo a funerali celebrati e alla notizia tenta il suicidio senza esitazione. Il padre è un alcolista ed è totalmente assente.

Il genitore, che si risposa un anno dopo essere diventato vedovo, lascia il figlio a Torino e si trasferisce in Calabria con la nuova moglie. È proprio quest’ultima la donna che Giudice odia, ed è questo il motivo che lo spinge ad uccidere. Il ragazzo inizia a fare uso di cocaina ed LSD e cambia continuamente occupazione. Una virata avviene quando inizia a fare il camionista.

Guida giorno e notte senza fermarsi da vero  stakanovista. I colleghi lo definiscono “un mulo del volante”, e ignorano la sua dipendenza dalle droghe.

Nella sua residenza di via Cravero vive nel disordine e, come affermeranno i poliziotti, su “letteralmente, su un tappeto di riviste pornografiche”. Nella stessa casa conserva armi e refurtive di piccoli furti, oltre che una collezione dei suoi scatti con le passeggiatrici che sono la sua unica vera compagnia. Giudice non ha amici e non ha famigliari.

È sulla fine del 1983 che inizia la follia omicida di Giancarlo Giudice.

Il primo ritrovamento avviene lungo la Stura.

Nel bagagliaio di una Bianchina rubata e poi data alle fiamme, viene rinvenuto il corpo di Francesca Pecoraro, prostituta di 40 anni. Passano solo due settimane e sulla superstrada per Chivasso viene trovato il corpo di Annunziata Pafundo, di 48 anni.

Questa vittima, come la prima, è stata uccisa in via Cravero, soffocata e poi trasportata in un secondo momento. La terza possibile vittima riesce a salvarsi. Si chiama Lucia Geraci e, con la pistola di Giudice puntata alla testa, supplica il suo aguzzino di lasciarla andare dicendogli di avere tre figli. Giancarlo Giudice viene condannato per lesioni a sei mesi di reclusione, ma sia i medici che lo visitano, che i poliziotti non sospettano minimante sia un serial killer.

Nell’aprile ’85 uccide due donne a brevissimo intervallo

Dalle acque del Po affiorano i cadaveri di Addolorata Benvenuto, di 47 anni e poi quello di Giovanna Bichi, di 64 anni, una donna già sciagurata, costretta a fare la vita per mantenere il figlio disoccupato e tossicodipendente.

Marzo 1986 vede l’assassinio di Maria Corda, quarantaquattrenne, ritrovata nel canale Depretis vicino a Caluso. Giudice aveva con questa donna un rapporto di amicizia da molti anni.

La chiamava persino “zia”, ma questo non arresta la sua furia omicida. Il 30 marzo 1985 segna la fine di Maria Galfrè, di 44 anni, uccisa con un colpo di calibro 22.

Giudice la trasporterà poi in una baracca vicino alla stura cui appiccherà fuoco. A inizio aprile tocca alla sessantasettenne Laura Belmonte. L’omicida se ne sbarazzerà in un altro canale dopo averle legato i polsi con un filo elettrico ad un gancio da rimorchio.

Arriva il 22 maggio 1985 e Giudice torna a colpire.

Clelia Mollo viene strangolata e abbandonata nel suo appartamento di via XX settembre a Torino, dopo essere stata stordita dal’assassino con cocaina e marijuana.

Il 28 giugno viene uccisa Maria Rosa Paoli, trentasettenne affiliata ai Nuclei Armati Proletari, con un colpo da distanza ravvicinata.

La vittima sarà poi trasportata e rinvenuta nella collina torinese in mezzo alla vegetazione.

Giancarlo Giudice: il più efferato serial killer di Torino

È qui che Giudice viene fermato inaspettatamente

Sorpreso dalla polizia stradale in una piazzola della Torino – Piacenza in atti osceni solitari, non può nascondere il sangue della Paoli che ha da poco ammazzato.

È quasi tristemente ironico che un criminale di questo rango sia fermato nella sua corsa omicida da un comportamento così assurdo e stupidamente messo in atto. Giancarlo Giudice tuttavia confessa solo l’ultimo omicidio e viene spedito, come già detto, al manicomio giudiziario di Reggio Emilia.

Una volta tornato il commissario Sassi, avendo intuito con chi ha a che fare lo torchia fino alla sua ammissione. Le parole di Giudice appaiono strane ai periti che non sanno definire il suo comportamento.

C’è sicuramente infermità mentale, ma la premeditazione non può essere ignorata. “Non so proprio perché ho ammazzato quelle altre donne” spiega l’imputato “ si scatenava in me qualcosa che mi spingeva, in maniera assolutamente irresistibile ad ammazzare”.

Nel processo, iniziato a metà marzo del 1989, l’uomo viene dichiarato colpevole e condannato all’ergastolo, avvalorando così la teoria della sua capacità di intendere e di volere.

Nel novembre dello stesso anno però, l’ergastolo viene trasformato in una condanna a 30 anni di reclusione più 3 in un manicomio criminale, riaprendo la disputa sull’effettiva psiche dell’assassino.

A ottobre del 2008 l’assassino che ha terrorizzato per mesi i torinesi e riempito le cronache di metà anni ‘80 è tornato libero ed è ora protetto da segreto.

di Michele Albera

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende