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Il mostro di piazza Savoia

Da Alessandro Maldera

Febbraio 27, 2012

Era il 12 gennaio 1902, Torino era coperta da una grande nevicata che per la sua entità aveva persino danneggiato numerosi tetti e cornicioni. Alla neve si era aggiunta una nebbia pesante, bassa e giallognola.

Nell’attuale piazza Savoia, all’epoca piazza Paesana, stavano giocando alcuni bambini.

Tra questi vi era Veronica Zucca, figlia del proprietario dell’antistante bar Savoia.

La piccola non era in quel momento accompagnata dal fratello Giulio di 7 anni, né dalla sorella gemella di 5 anni e mezzo.

Dato che si stava facendo tardi e il clima era estremamente rigido, Veronica venne chiamata a gran voce dalla madre perché rientrasse. La bambina era abituata a giocare sulla piazza, ma era solita tornare al primo richiamo dei genitori.

Fu così che la madre della piccola si preoccupò subito, non vedendola rincasare.

Si precipitò dai commercianti vicini, ma tutti risposero la stessa cosa: avevano visto Veronica fino a pochi minuti prima, ma era poi sparita nel nulla.

La nebbia e la neve non facilitavano la ricerca ed offrivano uno scenario inquietante. Ormai si era fatto tardi e si fecero le prime ipotesi.

Il mostro di piazza Savoia Torino

Si disse che Veronica si fosse smarrita, ma era poco credibile

La bambina conosceva bene quella zona, non si sarebbe mai persa per quelle strade, in più non si allontanava mai. L’unica possibilità plausibile era terrificante: Veronica era stata rapita. Alcuni nomadi erano stati visti in zona e questo sembrava dare corpo alla teoria.

Il secondo sospetto ricadde sul sedicenne Alfredo Conti, ex dipendente del bar Savoia, che una volta licenziato aveva minacciato di farla pagare al vecchio datore di lavoro. Vi fu anche una dubbia testimonianza oculare di Conti che avvicinava la bambina e le chiedeva di fare da intermediario con una terza persona che gli doveva dei soldi. Una vicenda poco credibile.

Il ragazzo fu rintracciato ed arrestato per qualche giorno, ma alla luce di un buon alibi fu rimesso in libertà.

La notizia che aveva scosso la città, riempiendo le pagine dei giornali e mobilitando folle di curiosi si perse nella memoria in poco tempo e le indagini dovettero ripartire da zero.

Arrivò aprile e un gruppo di operai venne chiamato ad eseguire dei restauri presso il sontuoso palazzo Saluzzo Paesana edificato nel 1715, celebre ancora oggi perché per anni ha ospitato dapprima il cinema Alpi e poi il Chaplin.

Uno dei falegnami aveva bisogno di nuove assi di legno e sotto consiglio di altri andò a cercarne negli scantinati del palazzo dei Marchesi. Addentrandosi in questi “infernotti”, come venivano chiamati all’epoca, fu colpito da un forte olezzo proveniente da un angolo.

Trovò un cassettone che ricordava una bara sopra al quale era stato collocato un vaso per i fiori. Sollevando il coperchio rimase attonito: c’era il corpo di una bambina. Il falegname chiamò i presenti terrorizzato.

Furono in diversi a riconoscere Veronica

La bambina sembrava quasi dormisse e che non avesse subito una morte violenta. All’obitorio la rimozione della muffa raccontò una storia ben diversa. La piccola vittima era stata trafitta da sedici coltellate.

Era rimasta poi per tutto quel tempo a pochi passi dal bar dei suoi genitori, come per ironia del fato. Il mistero di via della Consolata riprese vita.

Gendarmi e carabinieri erano alla spasmodica ricerca di un colpevole, cosa che conduce spesso a errori giudiziari. Si giunse all’arresto del padre di Veronica perché nelle sue testimonianze si era contraddetto più volte. Venne arrestato nuovamente anche il cameriere Conti, in seguito alla testimonianza di Giulio, fratellino della vittima.

Il bambino poi ammise di essersi inventato tutto ridendo. Ancora una volta le indagini erano ad un punto morto.

Si puntarono i riflettori su Carlo Tosetti, cocchiere dei Marchesi del palazzo.

Questi essendo una persona estremamente riservata ed emotivamente vulnerabile non provò nemmeno a difendersi. Venne messo agli arresti e vi restò 45 giorni. I giornali lo chiamavano già “il mostro” e Tosetti era moralmente devastato. Il vero omicida era ancora indisturbato e divertito dalla vicenda si aggirava per la zona di piazza Savoia.

Carlo Tosetti venne rilasciato per insussistenza di prove, ma per l’onta non si sentì di riprendere il lavoro a Palazzo Paesana e si trasferì lontano da piazza Savoia e il suo obelisco

Giunse il maggio del 1903 quando Teresina Demaria, una bambina di cinque anni figlia di un gasista residente nel palazzo Paesana scomparve mentre stava giocando con altri bambini.

Il mostro di piazza Savoia Torino

L’allarme si diffuse: c’erano troppe similitudini con la vicenda di Veronica

Si organizzarono subito battute di ricerca, ma furono tutte infruttuose.

Il portinaio del palazzo volle tornare a esaminare la cantina del primo ritrovamento, ma nonostante la perizia nella ricerca non vi trovò nessuno.

Il portiere cercò di dormire, ma tutta la notte ripensò all’accaduto. Al mattino, spinto dal suo intuito volle tornare negli infernotti. Vide subito una pila di cuscini e su di essi Teresina.

Era stata colpita da tre pugnalate, ma grazie al custode fu salvata in extremis. Fu lo stesso portiere a risolvere il caso. Affermò che il colpevole non poteva essere che un certo Giovanni Gioli, lo spazzaturaio ventiquattrenne che il giorno prima gli aveva chiesto le chiavi della cantina.

Quest’ultimo era noto in zona per essere una persona inaffidabile e pericolosa e, come disse la madre stessa: “un po’ tardo, anche scemo”. Confessò senza nemmeno capire il suo crimine: “Il coltello non tagliava, serviva solo a bucare”.

Il 14 gennaio 1904 in Corte d’Assise rideva e mangiava pane. Non gli venne riconosciuta l’infermità mentale, ma fu condannato solo a 25 anni e due mesi di reclusione.

All’uscita dal tribunale i carabinieri dovettero evitarne il linciaggio, ma la città, almeno per un po’, poté tornare a dormire sonni tranquilli. Come recitava La Stampa di quel giorno: “Giustizia è fatta. Per 25 anni Giovanni. Gioli non commuoverà più la vita cittadina con nuovi mostruosi delitti; per 25 anni le madri torinesi non avranno più a temere, da lui, offese alle loro creature.

Forse fu la Giustizia Divina ad agire perché dopo soli otto anni di reclusione Gioli morì in carcere.

Michele Albera

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende