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Quando la grande musica era protagonista a Torino

Da Alessandro Maldera

Ottobre 13, 2011

Viandante, se giungi a Sparta, come recitava uno straordinario brano di Heinrich Boll; ma se Sparta è Torino e il viandante suona è tutta un’altra musica – è il caso di dirlo.

Chi ci è passato, non se l’aspettava. Questo sconosciuto puntino in una parte poco famosa d’Italia, quel nord-ovest avaro di suggestioni (ma forse non di bellezze), quella Torino in cui sì, c’era la Fiat, ma poca altra roba – almeno, a sentire in giro. Perché i masters of rock dovevano andarci a finire? Non si sa, però vi arrivavano: e si raccontano apoteosi.

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Si parla di concerti: sembra strano, ma perfino la Torino-industria degli anni ’70 (ma più negli anni ’80) ha vissuto momenti esaltanti sull’onda delle sette note. Il Comunale si tramutava in un catino ribollente fumo e sudore, tra chitarre distorte e maledetti che scapocciavano al ritmo del groove.

L’anno zero: 1771

Oppure i più distinti ricordano la raffinata e azzimata (snob?) atmosfera dei jazz club, dove si alternavano fenomeni mondiali e giovani promesse italiane. Oppure indietro nei decenni e perfino nei secoli le prime di opere liriche, fino ai vertici della composizione più pura: con presunzione, si può dire che l’anno zero è il 1771, gennaio, quando un giovane Amadeus si esibisce per la corte sabauda e la famiglia Savoia

Perfino Mozart ha suonato a Torino

Ma è in buona compagnia. Qualche nome, accostando sacro e profano: dagli intramontabili Rolling Stones, al Comunale nel pomeriggio dell’11 luglio 1982 (si, proprio il giorno della finale dei mondiali) alla verve dei Dire Strait.

Il 28 giugno 1980 è la volta del re del reggae Bob Marley che si esibì al Comunale con i suoi Wailers.

E poi Madonna nel suo splendore, i Pink Floyd nel loro ultimo strepitoso tour (il Division Bell, correva l’anno 1994), la straziante tromba di Satchmo Armstrong e quella di Miles Davies, per la quale non c’è aggettivo se non quello che le dava Lui: cool.

Miles Davies aveva un caratteraccio, era davvero insopportabile. Viveva in una dimensione parallela permeata di musica dove la socialità era accessoria. C’era un rapporto estatico tra lui e il jazz.

Miles Davies parlava poco, pochissimo, con una voce presa a calci e resa macilenta e ruvida dalle troppe, troppe sigarette. Ma quando Miles Davies finiva un concerto, tutti speravano dicesse una parola, una parola sola. Che la soffiasse; e intorno si creava un momento di sospensione, gli uditori (che fossero quattro o venti) trattenevano il respiro. A quel punto Miles, se era soddisfatto, se aveva suonato bene, se si sentiva a posto con il suo esigentissimo talento, mormorava: “cool”.

Festivalbar e dintorni…

Troppo sofisticato? Allora ricordatevi – ce la faranno anche i più giovani – trecentomila persone in piazza. Era il 2005, il Festivalbar era ai suoi ultimi atti. Erano sicuri che montando il palco in piazza Castello sarebbe venuta tanta gente. Ma, diamine, non così tanta: il servizio d’ordine, quando si rese conto della folla oceanica radunatasi di fronte a Palazzo Madama, si fece il segno della croce.

Andò bene, una notte bianca ante litteram.

Poi il grande rock: incarnato dai suoi menestrelli più illustri, come il malinconico Bob Dylan o lo scatenato Bruce Springsteen; quindi i Police, prima e dopo. I ragazzi degli anni ’80 si sono ritrovati nel 2007 con qualche capello bianco in più per la reunion del trio, battendo le mani al rock-reggae di So lonely e lasciandosi andare alla schitarrata iniziale di Message in a bottle

Il tutto senza dimenticare il grande concerto del 1992 dei Guns and Roses. Lo spettacolo offerto da Axl e la band americana  secondo tutti i presenti è stato uno spettacolo unico, impoossibile da capire per chi non l’abbia vissuto.

E infine, gli italiani che ci han fatto innamorare generazioni di ragazzi: dalle adunate pop di Banana Republic sotto l’egida della coppia d’assi Dalla-De Gregori ai rock tour di Ligabue e Vasco. Un aficionado, il Blasco: ogni tour italiano prevede almeno una data torinese, e se l’appuntamento salta la popolazione rumoreggia. Ma anche i cantautori, nei teatri più o meno rinomati: Guccini al Colosseo, Gaber a Valdocco, Paolo Conte al Teatro Regio.

Insomma: se il mito di Torino provinciale è stato ampiamente smentito dalla cronaca, non è neppure mai nato per quel che riguarda i mega concertoni.

E l’amarcord, per questo o quel live, è uno sport che praticano in tanti. Io c’ero lì, io c’ero là, io c’ero a quell’altro ancora. Un gioco a cui si prestano i veri innamorati della musica. E, qualche volta, anche i giornalisti.

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende