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Omicidio Martine Beauregard a Torino: un delitto ancora insoluto

Da Alessandro Maldera

Settembre 23, 2011

Inquirenti davanti al corpo di Martine Beauregard

A molti torinesi la data del 18 giugno non dirà nulla: un giorno però che nasconde un un delitto insoluto.

Eppure il 18 giugno, precisamente del 1969, è la data di uno dei misteri più intricati che hanno come sfondo Torino.

Il delitto di Martine Beauregard, un crimine tutt’ora senza colpevole

Una volta tanto lo scenario non è la Torino un po’ lugubre e demoniaca, quella di Dario Argento o del triangolo della magia. Al contrario, il palcoscenico è la Torino bene, la Torino“da bere”, con il suo sfondo di lustrini e paillettes, di ambienti sofisticati, di night e di tabarin. Una scena sulla quale si muovono personaggi che presentano più ombre che luci, sempre in equilibrio tra legalità e illegalità.

Quella mattina un automobilista che percorre la statale Nichelino-Stupinigi, alla fine di corso Unione Sovietica, nota qualcosa di strano nei pressi dell’ippodromo di Vinovo.

E’ il corpo di una donna.

Omicidio Martine Beauregard a Torino: un delitto ancora insoluto

Il cadavere è riverso nel fosso, le gambe distese sul ciglio, il dorso adagiato sull’avvallamento. La donna è nuda, indossa solo un orologio e un anello, non ha documenti e presenta lividi, tracce di un’emorragia dalla bocca, graffi e due ferite parallele all’altezza del seno sinistro.

Chi è quella donna misteriosa?

Una domanda che trova risposta nell’arco di poche ore. Si chiama Martine Beauregard, ha 25 anni, vive con la famiglia a Torino dopo essere nata a Parigi.

Un volto noto nella Torino dei bon vivant dove è conosciuta come la Parigina. Bellissima e seducente, a 18 anni Martine abbandona l’idea di diventare ostetrica e sceglie una strada più redditizia . Quella di concedere il suo corpo in cambio di denaro a capitani d’industria e playboy. Una escort diremmo oggi.

Una collega la vede per l’ultima volta attorno alla mezzanotte di lunedì 17 mentre sale su una Fiat 125 bianca.   Anche in questo caso bastano poche ore al commissario Montesano, figura leggendaria della Torino di quegli anni, per avere un nome. E’ quello di Ugo Goano.

La sua vita si consuma tra un night e l’altro, spendendo i soldi di papà e spacciandosi per uomo d’affari a bordo della sua fiammante Dino spider rossa. Quella sera Ugo e Martine hanno cenato insieme.

Per gli inquirenti è  abbastanza. Goano viene arrestato con l’accusa di sfruttamento della prostituzione e omicidio. Il giovane rampollo però ha un alibi. Dopo la cena afferma di essere stato in due locali. Proprietari e avventori confermano. Nel primo resta fino all’una quando riceve una telefonata e se ne va in fretta. Ricompare un’ora dopo nel secondo locale.

Tempo sufficiente per commettere l’omicidio, ma non per trasportare e scaricare il cadavere fuori città.

L’autopsia parla di “graffi diffusi, come se la vittima fosse stata fustigata con una cinghia, lividi sulle braccia e tumefazioni ai lati del corpo” oltre a quegli strani segni paralleli sul seno. La morte è avvenuta per soffocamento. Forse un gioco erotico andato oltre i limiti o un rifiuto della ragazza.  La posizione di Goano però rimane poco chiara.

I rilievi nella sua garconniere e nell’auto rivelano tracce di sangue e una ciocca di capelli, compatibile con quella della Parigina. Se manca la pistola fumante, Goano resta comunque uno che la sa lunga.

Per mesi l’indagine procede stancamente. Il colpo di scena arriva all’improvviso il 5 dicembre 1969. Il commissario Montesano riceve una telefonata. All’altro capo c’è Carlo Campagna, 27 anni, figlio di un industriale. Ammette di aver ucciso Martine e chiede di essere arrestato.

La vita di Carlo non è molto diversa da quella di Ugo. Anche lui passa le notti girovagando da un locale all’altro, sperperando le fortune di famiglia tra superalcolici e femmes fatales. Abitudini che gli valgono il soprannome Charlie Champagne.

In un primo momento Charlie conferma la testimonianza della collega di Martine

Poi la confessione diventa una sequela di bugie che non trovano riscontro. Dice di aver portato Martine a casa sua sotto l’effetto di stupefacenti e che la giovane avrebbe poi vomitato dopo essersi ubriacata. Gli esami tossicologici non rivelano né alcol, né droga e i resti della cena consumata vengono rinvenuti ancora nello stomaco.

Secondo la ricostruzione di Charlie, Martine avrebbe poi chiesto di fare un bagno ma una volta entrata nella vasca sarebbe scivolata e morta sotto i suoi occhi. La perizia del medico legale non riscontra acqua nei polmoni e poi Martine è morta per soffocamento, non per annegamento.

Campagna si sta accusando del delitto per coprire qualcuno.

Forse il padre che si suicida poco dopo l’arresto del figlio.  Durante l’incidente probatorio la collega di Martine riconosce in Carlo l’uomo che la sera del 17 giugno 1969 ha caricato la vittima. Entra quindi in scena un giovane penalista torinese, Antonio Foti. Legale di Campagna che fa a pezzi la testimonianza della donna e asserisce che Carlo si sarebbe auto accusato perché aveva bisogno di un modo per sfuggire ai creditori.

Nell’istruttoria Campagna viene assolto per insufficienza di prove. In giudizio anche Goano viene ritenuto estraneo all’omicidio.

Omicidio Martine Beauregard a Torino: un delitto ancora insoluto

Le indagini non approdano a nulla, il volto del misterioso assassino che ha spezzato la giovane ed avventurosa vita della Parigina resta avvolto nelle nebbie del mistero.

O forse il colpevole c’è ma le prove non bastano per inchiodarlo alle sue responsabilità, in ossequio ad un inossidabile principio. E’ meglio avere un delinquente fuori che un innocente in galera.

L’ omicidio Martine Beauregard resta così un “cold case”, un caso congelato ed irrisolto, un fascicolo ancora oggi aperto in qualche polveroso ufficio della questura. L’’unica macchia sulla brillante carriera del commissario Montesano, una figura che sembra uscita dalla penna di un grande giallista.

In questo caso, così misterioso eppure così reale, il grande giallista si è però dimenticato di apporre la parola fine alla trama, quasi come a voler lasciare ai torinesi il macabro piacere di trovare il proprio finale personale.

Quello vero, del resto, potrebbe scriverlo soltanto l’assassino.

La Redazione di Mole 24

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende