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Omicidio in Val Pattonera: Torino, 11 febbraio 1846

Da Alessandro Maldera

Febbraio 11, 2016

Omicidio in Val Pattonera: Torino, 11 febbraio 1846

A Torino, nella sera dell’11 febbraio 1846, cinque individui assai poco raccomandabili e armati di coltelli, sciabole e pistole, sono avviati, con scopi poco lodevoli, alla volta della collina torinese.

Attraversano il ponte sul Po, percorrono un breve tratto sulla strada per Moncalieri, incontrano un sesto complice, col quale scambiano poche parole, poi svoltano tutti a sinistra e salgono su per il colle, diretti ad una solitaria casa di campagna, una “vigna” come dicono i Torinesi, abitata dalla signora Teresa Santi vedova Donò, da un suo servitore e da un giovane vaccaro.

Quando arrivano, riescono a farsi aprire la porta perché due sono travestiti da Carabinieri ma il servitore si accorge dell’inganno e si mette a correre gridando «Ai ladri!».

Allora i malviventi prima gli sparano un colpo di pistola, che va a vuoto, e dopo lo uccidono con varie coltellate. Poi, per timore che le sue grida ed il colpo di pistola abbiano dato l’allarme, sentendo i latrati dei cani da guardia, se ne vanno senza depredare la casa.

Il servitore ucciso è Martino Ferello. Il perito medico esamina il suo cadavere, trovato a 300 metri dalla “vigna”, crivellato da venticinque ferite inferte con due diversi coltelli.

Questo tentativo di rapina, compiuto da una piccola banda di facinorosi nelle immediate vicinanze di Torino, e l’uccisione di un servitore sono fatti molto gravi.

Il Senato di Piemonte, supremo tribunale dello stato sabaudo per ottenere la cattura dei colpevoli, emette un Manifesto datato 17 febbraio 1846 dove si promettono premi e impunità per chi fornirà informazioni atte a far luce sul terribile misfatto.

Omicidio in Val Pattonera: Torino, 11 febbraio 1846

Si ottengono così importanti rivelazioni da uno degli accusati, anche se non sappiamo con quali modalità e con quali tempi. I colpevoli sono infatti identificati ed arrestati. Sono:

  • Michele Boglietti, di 27 anni, nato a Bussolino di Gassino, già oste sotto l’insegna del Gambero in Torino;
  • Giovanni Battista Fossati, nato a Racconigi, di 30 anni, scalpellino;
  • Pietro Fossati, suo fratello, di 23 anni, nato a Porte di Pinerolo, scalpellino;
  • Giacomo Capriolo, di 27 anni, nato a Sommariva Perno, calzolaio e portinaio;
  • Andrea Basano, di 31 anni, nato a Baldissero d’Alba, contadino;
  • Giovanni Battista Gallo, di 38 anni, nato a San Benedetto (Belbo), contadino;
  • Antonia Masante, moglie di Giovanni Battista Gallo, di 30 anni, nata a Farigliano.

Sono tutti residenti a Torino e qui sono detenuti sotto l’accusa della tentata rapina e dell’omicidio del servitore.

L’assalto alla “vigna” della vedova Donò era stato progettato da Giovanni Battista Gallo, che vi lavorava come giornaliero e da tempo aveva pensato ad una rapina, che riteneva abbastanza facile per le poche persone presenti in casa e molto redditizia per le ricchezze della vedova. Ne aveva parlato con la moglie, Antonia Masante, e con l’amante della moglie.

I coniugi Gallo, infatti, vivevano in un ménage à trois con Michele Boglietti e la relazione durava già da alcuni anni. Boglietti non si era lasciato facilmente convincere malgrado l’insistenza di Gallo, allora Antonia Gallo aveva spinto il suo amante all’impresa ed erano stati trovati alcuni complici, i fratelli Giovanni Battista e Pietro Fossati.

In realtà, la rapina non era tanto facile.

Omicidio in Val Pattonera: Torino, 11 febbraio 1846
Omicidio in Val Pattonera: Torino, 11 febbraio 1846

Boglietti e i suoi complici a gennaio del 1846, avevano fatto ben due tentativi.

La prima volta erano stati messi in fuga dal servo Martino Ferello, il quale aveva sparato contro di loro un colpo di arma da fuoco da una finestra del piano superiore della casa. Ferello era un vero “osso duro” per la sua fedeltà e dedizione alla padrona.

Aveva fatto fallire anche il secondo tentativo, circa quindici giorni dopo, quando Boglietti e i complici si erano ripresentati alla “vigna” ed erano entrati nella stalla, dove si trovava la vedova Donò, con la scusa di chiederle alloggio per la notte. Forse pensavano di aggredirla ma avevano desistito quando si erano accorti che nella stalla vi era anche Martino Ferello che li osservava minacciosamente, armato di un tridente.

L’entusiasmo di Boglietti si era raffreddato, Antonia aveva insistito in ogni modo e, alla fine, lo aveva convinto al terzo tentativo, quello dell’11 febbraio. Avevano reclutato un nuovo complice, Giacomo Capriolo.

Verso le otto della sera erano arrivati alla “vigna”. Gallo era rimasto indietro per non farsi riconoscere, gli altri erano entrati nel cortile. Battista Fossati e Giacomo Capriolo si erano travestiti da Carabiniere avvolgendosi in un ampio mantello e mettendosi in testa un cappello alla militare.

Avevano bussato alla porta e si erano qualificati come Carabinieri. Pensavano di riuscire ad entrare in casa, mentre gli altri dovevano rimanere fuori, eventualmente pronti ad intervenire in un secondo tempo. Ma dalla porta era schizzato fuori Martino Ferello, il quale si era subito accorto del travestimento, si era messo a correre a precipizio lungo la discesa della strada di accesso, gridando «Ai ladri!».

Le sue grida rischiavano di dare l’allarme, Pietro Fossati lo aveva inseguito e gli aveva sparato un colpo di pistola, senza colpirlo, e aveva continuato a inseguirlo, impugnando uno stiletto. Anche Boglietti aveva rincorso Ferello e, quando era riuscito a raggiungerlo, lo aveva crivellato di pugnalate col suo coltello a lama fissa.

Il povero Ferello, seppure in modo un po’ impulsivo e sconsiderato, aveva impedito l’aggressione alla sua padrona, anche a costo della sua vita.

Gli inquirenti sono riusciti a tratteggiare con tanta precisione le responsabilità dei vari accusati ed anche a delineare gli aspetti psicologici dell’organizzazione del crimine grazie all’aiuto di uno degli arrestati. Pietro Fossati ha deciso di approfittare dell’offerta di impunità del Manifesto Senatorio del 17 febbraio e non ha esitato ad accusare i complici, tra i quali si trova anche Giovanni Battista, suo fratello maggiore.

A questo punto non resta che formulare l’atto di accusa per i vari imputati, dove le responsabilità maggiori per la tentata rapina “con barbaro omicidio” ricadono su Boglietti e Pietro Fossati.

Il processo è celebrato nel giugno 1846 dal Senato di Piemonte e il pubblico torinese interviene numeroso alle udienze.

Il 12 giugno 1846 viene letta la sentenza. Sono dichiarati tutti colpevoli con queste condanne:

  • Antonia Gallo Masante a dodici anni di lavori forzati;
  • Gallo a quindici anni di lavori forzati;
  • Capriolo e Basano a venti anni di lavori forzati;
  • Giovanni Battista Fossati ai lavori forzati a vita.

Per tutti è prevista l’esemplarità della berlina.

Pietro Fossati e Michele Boglietti sono condannati alla pena di morte.

Omicidio in Val Pattonera: Torino, 11 febbraio 1846

La sentenza contiene anche un’ultima disposizione, basata sulla normativa che consente al Senato di concedere impunità ai colpevoli in cambio di rivelazioni: la sentenza dichiara infatti che si deve ammettere Pietro Fossati all’intera ed assoluta impunità secondo il Manifesto del 17 febbraio 1846. Pertanto, ne ordina il rilascio dalle carceri in cui si trova.

Michele Boglietti viene impiccato il giorno 16 giugno 1846 a Torino, con l’assistenza di San Giuseppe Cafasso e della Arciconfraternita della Misericordia di Torino.

A differenza di molti altri condannati del periodo precedente al 1848, Michele Boglietti viene più volte ricordato dalla stampa, da svariate pubblicazioni agiografiche e dalla letteratura popolare.

Il conte progressista Battista Giovanni Michelini gli dedica un articolo nel fascicolo del 15 agosto 1846 della rivista Letture di Famiglia, pubblicata da Lorenzo Valerio.

Michele Boglietti è poi ricordato nelle biografie da San Giuseppe Cafasso, sia in quelle antiche che in quelle moderne, come quella di Aldo Cazzullo (I torinesi da Cavour a oggi, Roma 2002). Il sito internet dei Missionari della Consolata contiene la descrizione delle sue ultime ore di vita.

Luigi Pietracqua (Voghera, 1832 – Torino, 1901) pubblica il romanzo in lingua piemontese La Còca dël Gamber (1891). L’ispirazione deriva proprio da questo fatto di cronaca nera: uno dei protagonisti del romanzo si chiama Bogliasso e sulla collina torinese, a Santa Margherita, nella villa solitaria di una baronessa, si concludono le malefatte della banda di assassini del Moschino comandata dal barone Torquato Bertoglio, che vi uccide una contadina.

G. T.

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende