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“Vogliamo costringere i 7 bastardi a ridurre i loro profitti”

Da Alessandro Maldera

Ottobre 15, 2013

Non ero mai entrato in una fabbrica di sigarette e non sapevo cosa aspettarmi da un luogo in cui si produce il veleno legalizzato del mondo. Da non fumatore avevo (e forse ho ancora) dei preconcetti verso chi decide scientemente di carbonizzarsi i polmoni, figurarci nei confronti di chi quel catrame pret-à-porter lo produce e lo vende.

Ma mi affascinava la storia di Yesmoke, padroni italiani, stabilimento di produzione e spedizione a Settimo Torinese, fama di “badass” (tipi tosti) e una guerra più che personale in corso contro le grandi multinazionali del tabacco.

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L’immenso stanzone dove incontro per la prima volta Giampaolo Messina, uno dei due proprietari e fondatori del brand di sigarette low-cost, cruelty free e anti-Marlboro, è una via di mezzo tra lo studio di un dentista e un granaio di campagna.

Asettico il giusto, ma con inevitabili cumuli di tabacco sul pavimento e intorno alle macchine da milioni di euro l’una che producono un frastuono assordante. Non ci sono molti operai in giro qui, la maggior parte si trovano nel padiglione adiacente e l’acre profumo di mille qualità diverse di tabacco dà quel leggero stordimento come quando entri in un’auto con un Arbre Magique appena tolto dalla confezione.

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“Perfavore non riprendermi” mi chiede cortesemente Giampaolo, camicia bianca di lino sbottonata e infradito ai piedi. “Qui cerchiamo, per politica aziendale, di non comparire mai o quasi, preferiamo far parlare le scritte sui nostri muri invece che sbattere le nostre facce in prima pagina” precisa ed il riferimento è a quel “Chi fuma Marlboro è un coglione” impresso in caratteri cubitali rossi, appena sopra la faccia di Silvio Berlusconi e poco lontano da quella di Prodi.

La storia di Yesmoke fa scalpore: nato come sito web di vendita di sigarette nel 2000, il successo è immediato grazie a prezzi talmente convenienti che per un fumatore di Detroit conviene acquistare delle comunissime Marlboro provenienti dalla Svizzera tramite il sito che scendere alla tabaccheria sotto casa (qui vi spiego come facevano).

Immediata la reazione della Philip Morris, denuncia e chiusura forzata del dominio.

Ma i fratelli Messina, ex procacciatori di clienti russi per tipografie italiane, non si demoralizzano e anzi, con i soldi ricavati da appena un paio d’anni di vendite online, decidono di mettersi in proprio e di costruire una fabbrica da quasi 40 milioni di euro.

Nascono quindi le sigarette a marchio Yesmoke (“all’inizio non eravamo molto pratici, facevano schifo, sembravano quelle del Terzo Mondo”) che conquistano subito il mercato mondiale per il loro prezzo ridotto, appena 4 €.

I cartelli del tabacco non ci stanno, intentano altre cause e fanno sequestrare le spedizioni negli Stati Uniti: “il primo aereo cargo con le nuove Yesmoke a bordo fu circondato da oltre 200 agenti appena atterrato a New York. Fu un blitz di 9 agenzie governative, una cosa incredibile e tutto fu sequestrato e poi distrutto. Non avrebbero potuto farlo, ma una causa ci sarebbe costata troppo”.

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Non badò agli spiccioli invece la Philip Morris che chiese un risarcimento di 548 milioni di dollari per vendita illegale, poi ridotto a 173 milioni. “Quelli? non li abbiamo mai pagati. Ora come azienda non possiamo fare nessun tipo di investimento sul territorio statunitense perché ce lo confischerebbero immediatamente, ma se un consumatore vuole le nostre sigarette è libero di importarle” Sì, ma tu e tuo fratello potete ancora entrare negli States? “A livello personale non credo ci siano problemi, ma nel dubbio…ci sono tanti altri bei posti per andare in vacanza!”

Lei fuma? “Ovviamente sì e qui tutti i dipendenti fumano gratis, ci sono dei cassoni con le sigarette e chiunque può prenderne e fumarle”.

Entriamo in un’altra sala, qui c’è più polvere perché è dove il tabacco rimane a riposo per far evaporare l’alcool presente negli additivi.

“Noi, a differenza di tutti gli altri, utilizziamo additivi naturali come la liquirizia, il cacao, la vaniglia. Sono sempre sigarette, certo, ma, per esempio, i tassi di ammoniaca degli altri brand sono nettamente superiori, loro la mettono per aumentare la dipendenza del prodotto, noi cerchiamo di ridurla. Sapevi che le Marlboro non sono uguali in tutti i Paesi? Quelle destinate al mercato degli Stati Uniti sono più forti (1,8g di nicotina contro 1 di quelle vendute in Europa) e hanno anche un altro sapore perché cambiano i cocktail chimici che ci mettono dentro. Tanto l’elenco delle sostanze contenute che le aziende devono produrre per legge è una semplice autocertificazione, assurdo!”

Giampaolo Messina e alcuni operai al lavoro
Giampaolo Messina e alcuni operai al lavoro

Esiste un contrabbando “ufficiale” di sigarette con cui le stesse multinazionali del tabacco smerciano le proprie sigarette ad un prezzo inferiore di quello dichiarato? “Sì, è un sistema molto utile per penetrare in un nuovo mercato. La legge è assurda, ci vieta di vendere ad un prezzo basso, ti impongono delle tasse minime e se anche tu volessi vendere in perdita non puoi, è vietato anche quello. Allora tu azienda le vendi al mercato nero e intanto fidelizzi nuovi clienti”. Voi lo fate o l’avete mai fatto? No, ci vorrebbe una struttura enorme anche solo per organizzare un discorso di quel tipo. Può succedere che lo facciano altri a nostra insaputa perché nel momento in cui il container arriva in una dogana noi ne perdiamo il controllo, può succedere che funzionari corrotti si rivendano tutto. Hanno persino trovato una fabbrica in Polonia che produceva Yesmoke false”.

Perché voi vendete un pacchetto a 4 euro mentre tutti gli altri hanno un prezzo più alto?

Per costringere i 7 bastardi (i colossi del tabacco mondiale) a ridurre i loro profitti. Li abbiamo già costretti ad abbassare i prezzi perché la gente deve sapere che alla Marlboro produrre un pacchetto di sigarette costa circa 12 centesimi, lo rivendono ai grossisti a 70 cent e in tabaccheria arriva a costare fino a 5 euro. Vuol dire un profitto del 600%! Considerando che i tabaccai prendono poco più del 10% e che lo Stato non guadagna dalle accise così tanto come in altri Paesi, tutto il ricavo va ai produttori. Noi facciamo ancora un profitto più che buono, potremmo anche scendere a 3,70 a pacchetto, ma lo Stato imponeva prima un prezzo minimo, ora una tassa minima”.

Quando avete capito di dare fastidio a qualcuno?

“Da subito, appena aperto il sito è arrivata la richiesta di cessare la vendita, noi abbiamo continuato e loro (la Philip Morris) ci hanno fatto causa. È allora che è nata l’idea di costruire una fabbrica tutta nostra, appositamente per fare loro la guerra! Poi sono arrivate quelle finte bombe…

I "trasmettitori"
I “trasmettitori”

Quali bombe?

“Abbiamo trovato in tre stecche della Marlboro dei congegni pieni di fili, pile, antenne e abbiamo subito pensatoa delle bombe. È venuta la Polizia, ha messo i metal detector e qualche dipendente si è persino licenziato perché aveva paura. La Philip Morris ha ammesso che erano loro, ma che dicevano fossero dei trasmettitori, solo che quelli erano troppo grossi, erano rotti, volevano solo assomigliare a delle bombe per intimidirci, ma a noi non hanno fatto per nulla paura. Le cose brutte esistono solo nei film.

La conversazione si sposta al riparo dal frastuono nel laboratorio interno dove, giovani chimici con i camici bianchi, effettuano giornalmente decine di test sul tabacco e sugli effetti dannosi per l’organismo umano.

La macchina che "fuma" le sigarette per i test
La macchina che “fuma” le sigarette per i test

“Le multinazionali utilizzano gli animali per studiare queste cose, li bloccano con delle maschere e fanno loro respirare fumo per ore. Ci sono filmati e immagini in rete e le stesse aziende lo ammettono sui loro siti ufficiali! E nessuno fa niente! Hanno proibito la vivisezione, perché qui nessuno indaga?” si sfoga Giampaolo, sempre molto calmo, ma con le idee ben precise su chi siano realmente i cattivi.

“Sono loro. Innanzitutto perchè con la scusa che producono all’estero non pagano tasse sugli enormi utili delle vendite. E poi pechè se potessero non metterebbero nemmeno le scritte sui pacchetti in cui si avverte che il fumo fa male. Noi invece vogliamo scriverle, sul nostro sito c’è una sezione apposita che invita a smettere con questo vizio. Puntiamo molto su questi temi, è propaganda certo, ma se diciamo cose vere dei concorrenti e la gente poi preferisce i nostri prodotti ai loro, tutto di guadagnato. Lei sa che se, per assurdo, domani il 50% dei fumatori smettesse improvvisamente, le multinazionali chiuderebbero perché hanno costi fissi troppo alti da mantenere? Dovranno trovare una maniera per sfamare il mostro che hanno creato e il modo che trovano ora è puntare molto sui bambini, specie nel Terzo Mondo”.

Se però davvero il 50% dei fumatori smettesse di fumare, voi cosa fareste? “Continueremmo a fare sigarette per l’altro 50%”.

Marco Parella

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende