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Hitler e quell’ossessione per la Sindone

Da Alessandro Maldera

Dicembre 14, 2012

Chi conosce la storia della Sacra Sindone sa che dopo numerose peregrinazioni durate due millenni, il lino ha trovato una dimora fissa nel Duomo di Torino.

Dal 1578, anno della traslazione da Chambéry ad opera dei Savoia, è ben noto che il telo Sindonico non abbia mai abbandonato il capoluogo piemontese. Peccato che questo non sia del tutto vero

Nel 1939, quando i venti di un nuovo conflitto mondiale iniziarono a soffiare prepotentemente , si decise di evitare il pericolo che la Sindone andasse distrutta e soprattutto trafugata.

La possibilità di un bombardamento nemico non era la prima preoccupazione di fedeli e vescovi.

Hitler aveva più volte comunicato il suo desiderio di impadronirsi del sacro lino

Il regime nazista, la cui mistica di stampo pagano venne tracciata da Heinrich Himmler, voleva appropriarsi di tutti i più noti simboli del potere. Sia materiale, sia spirituale dell’umanità, per concentrare in Germania la loro potenza, non solo simbolica.

Visto che persino il Vaticano venne considerato in pericolo all’epoca si optò per il basso profilo. E la scelta, presa in grandissimo segreto, ricadde sulla Abbazia di Monte Vergine in Campania.

Questa contromossa, che assume oggi quasi i contorni di un giallo storico, fu tenuta all’oscuro persino dei frati stessi dell’abbazia. Gli unici a custodire questa pesante responsabilità furono l’abate ed il suo vicario, che rischiarono molto durante le perquisizioni in tempo di guerra.

Nel 1943, due anni prima del ritorno della Sacra Sindone dalla Campania, un manipolo di soldati delle SS entrò nel complesso religioso avendo forse intuito qualcosa.

L’abate ordinò quindi ai suoi confratelli di chinarsi a pregare sull’altare dove era nascosto il telo, salvando di fatto la Sindone.

Al ritorno a Torino della più grande reliquia del cristianesimo, l’arcivescovo cardinal Fossati pubblicò sulla Rivista Diocesana una lettera ai fedeli. Qui ui giustificava di aver nascosto la Sindone «perché l’invasore si affrettò a chiederne notizia».

L’abbazia fu solo la meta finale però, poiché come si venne a sapere dopo diversi anni, la Sindone fece tappa al Quirinale. Nella cappella di Guido Reni, quando il Re d’Italia prese contatto col Vaticano per trovarle un rifugio oltre Tevere.

Ritorno della Sindone a Torino fine seconda guerra mondiale
 

Quello che sorprende è che fu proprio Vittorio Emanuele III a scortarla personalmente durante il tragitto,

Segno dell’affezione personale alla reliquia. Quest’ultima donata all’Italia proprio dalla famiglia reale dei Savoia.

Ci si domanda quindi cosa sarebbe successo se Hitler avesse messo le mani sulla Sacra Sindone

Come aveva fatto qualche anno prima con la Lancia di Longino, famosa per avere trafitto il costato di Cristo in croce, salvata all’ultimo a Norimberga dal generale Patton in persona.

Il pericolo nazista fu scampato grazie ad un’operazione che oggi chiameremo di “intelligence”. E forse con un aiuto dall’alto, si evitò anche la distruzione totale della reliquia: per la prima ipotesi di trasferimento, poi scartata, si prese infatti in considerazione l’Abbazia di Montecassino, quella che le bombe alleate avrebbero raso al suolo nel ’44.

 Michele Albera

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende