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Meglio il tarocco dell’originale? Alla scoperta di M** Bun e Busters Coffee

Da Alessandro Maldera

Gennaio 20, 2012

Due icone american-style, modus vivendi da cui forse potremmo imparare qualcosa ma di sicuro non l’arte del buon vivere. E questo non tanto perché siamo torinesi, ma perché siamo italiani.

Le nostre pietanze sono famose ai quattro angoli del globo, e non c’è bisogno di scomodare Faber per ricordarci “quanto è buono o’ cafè”. Da una parte Mc Donald’s, dall’altra Starbuks. Uno oramai piacevole (?) abitudine anche sul suolo italiano, l’atro desaparecido, anzi “maiaparecido” nella patria del dolce stil novo.

Ma al pari della Settimana Enigmistica, pure i due americanissimi brand vantano innumerevoli tentativi di imitazioni. E due sono nostrane: M** Bun e Busters Coffee.

Il M** Bun tradisce il chiaro riferimento alla catena del panino mondializzato, tanto che i due asterischi poco son serviti a mascherarne il nome e il riferimento: come Mac Bun è nato e come Mac Bun continua ad essere chiamato.

In barba ai contenziosi che proprio Mc Donald’s aveva mosso all’ultima creatura di Carlin Petrini, guru di Slow Food, reo di aver copiato il marchio.

Il M** Bun è presente a Rivoli, in corso Susa, e a Torino, nel centralissimo corso Siccardi: propone hamburger in stile “slow fast food”, dove la qualità della materia prima e della lavorazione si abbina ad una praticità del servizio, con una strizzata d’occhio all’ecologia – tutti i piatti utilizzati, ad esempio, sono riciclabili.

Oggettivamente, è buono. Altrettanto oggettivamente, il rapporto qualità-prezzo è nella media, forse poco (pochissimo) di più. Il rischio, come in tutti i fenomeni di tendenza ma non generalisti, è di pagare il supplemento-glamour.

Il M** Bun fa fine e non impegna, ha quell’aria sapientemente miscelata a metà tra barotto (ma è un’abile recita) e trendy ed è un’officina di buoni sentimenti sottointesi. Vai da M** Bun, non da Mc Donald’s, quindi accetti di pagare di più pur di dissociarti dalla multinazionale.

Oh, si! Tira fuori l’anarco-insurrezionalista che c’è in te, ben nascosto dal colletto bianco e dalla tua posizione di quadro in un’agenzia assicurativa.

Torino Meglio il tarocco dell'originale? Alla scoperta di M** Bun e Busters Coffee
Torino Meglio il tarocco dell’originale? Alla scoperta di M** Bun e Busters Coffee

Al di là delle ventiseienni fricchettone ma con la borsa di Prada, che parlano di mercato alternativo solo in virtù del loro iPod 3G, il M** Bun ha tanti lati positivi.

Tralasciando le pose, mostra concretamente un impegno ecologista e localista, offre cibo molto buono e l’atteggiamento ruspante è azzeccato, tra nomi dei prodotti in piemontese maccheronico (però, fieuj, scrivetelo correttamente: è difficile, ma provateci) e commessi simpatici.

Se il M** Bun prende la filosofia del Mc Donald’s e cerca di migliorarla, il Busters Coffee è una copia carbone di Starbucks, una replica che non raggiunge né aggiunge all’originale.

Lo trovate in piazza Statuto e in via Cesare Battisti a Torino, e rimarrete stupiti dalla quantità di liceali che lo frequentano. A tutto c’è un perché, ma ci arriviamo con calma.

Intanto bisogna fare un po’ di genealogia: Busters Coffee è figlio (abbastanza illegittimo) di Starbucks, il quale a sua volta è figlio del caffè italiano.

Lo dichiara la stessa multinazionale USA, di essersi ispirata alla religione che l’italiano ha per la miscela arabica: addirittura i nomi dei prodotti Starbucks sono nella lingua di Dante.

Ed è, questo, il motivo principe per cui il marchio della sirena verde e viola si tiene ben ben alla larga dai confini tricolori: non ha senso reimportare una variante americana di un classico nostrano. E non ha senso proporre un caffè all’americana al quaranta-cinquantenne italiano che vede in Riccardo Illy e Luigi Lavazza i Buonarroti e i Da Vinci della tazzina.

Torino Meglio il tarocco dell'originale? Alla scoperta di M** Bun e Busters Coffee

Così facendo, però, si è creato nei confini patri un cospicuo vuoto di mercato: Starbucks è un marchio fidelizzante, al pari di Apple o (in un certo senso) lo stesso Mc Donald’s.

Chi lo ama, lo fa senza riserve e vorrebbe farlo nella stessa maniera da Singapore a piazza Carlina.

In questa nicchia si è infilato Busters Coffee, creando una linea di prodotti ispirata a Starbucks ma priva delle stesse caratteristiche di gusto e di brand. Lo stesso logo, due cerchi concentrici con un disegno stilizzato nel mezzo, appiccicato su tutti i bicchieroni di carta, è un evidente richiamo.

Ed il target di Busters Coffee è proprio quello degli orfani di Starbucks, o di quelli che vorrebbero Starbucks ma non possono provarlo.

Ed arriviamo ai liceali: sono loro, che vedono le serie tv delle high school californiane, ad identificarsi in quel modello e tentare di replicarlo nella vita di tutti i giorni.

Amori effimeri, modaiolismo esasperato, caffè in un bicchiere di cartone. Anche qui, apparenza più che convinzione, immagine più che sostanza. Su questi concetti la catena ha puntato forte, ed inizia a calcolare importanti ricavi.

Umberto Mangiardi

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende